Il pizzino, ritrovato in carcere e acquisito agli atti di “Rinascita Scott”, svela la creazione di una nuova società mafiosa. Il pentito Figliuzzi svela invece la sua singolare affiliazione come picciotto durante la Pasqua
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Nicola Gratteri c’era già arrivato qualche anno prima, quand’era procuratore aggiunto a Reggio Calabria. Durante l’inchiesta “Crimine”, con i suoi uomini intercettò una conversazione tra alcuni mafiosi della Piana di Gioia Tauro: parlavano dei «cavalieri di Cristo». «Questa è nuova», sussurrava uno all’altro. Una nuova carica, nell’organizzazione di una ‘ndrangheta che si evolve, modifica equilibri e gerarchie, anche attraverso l’introduzione di nuove “doti”.
Ora, da procuratore capo di Catanzaro, con “Rinascita Scott”, Gratteri aggiunge un altro tassello, incastonando un manoscritto rinvenuto in carcere nel 2014. Michele Oppedisano, detenuto per mafia perché considerato referente della “società di Rosarno”, lo stava consegnando a Michele Altamura, capo e custode delle regole della “Società dell’Ariola”, sanguinaria consorteria criminale che passando per le armi i fratelli Giuseppe e Vincenzo Loielo consegnò il dominio delle Preserre vibonesi al clan Emanuele. Quel “pizzino” richiama la ritualità del male, ma anche la strumentalizzazione del sacro e una delirante morale.
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Nuovi riti di ‘ndrangheta
Un testo, due formule. La prima serve a formare la “Società dei cavalieri di Cristo”: «Miei cari fratelli, che oggi ci troviamo arrivati a questo spunto della nostra storia, non ci tocca altro che la perfezione dell’essere umano. Abbiamo giurato con coltelli, sferre e spade ma mai con il cuore in mano e di fronte a un crocifisso. Con queste belle parole io formo la società dei cavalieri di Cristo».
La seconda formula sembra destinata ad essere pronunciata dopo la «votazione» degli affiliati. «A nome di Cristo re padre dell’universo passo la mia sola e unica votazione come a suo tempo nell’anno 1119. La passo Baldovino secondo re di Gerusalemme. Se prima vi riconoscevo come un fratello di mammasantissima d’oggi in poi vi riconosco come un cavaliere di Cristo, appartenente al Sacro regno dell’Onnipotente».
La testimonianza del pentito Figliuzzi
Una ’ndrangheta vecchia e sanguinaria che prova a proiettarsi nel futuro riscoprendosi ieratica. Altrettanto deliranti ma più spartani, invece, i giovani, le nuove leve cresciute a pane e malavita. È davvero singolare il battesimo raccontato da Nicola Figliuzzi. Oggi collaboratore di giustizia, è stato uno dei fiancheggiatori del clan Patania nella guerra di mafia contro il clan dei Piscopisani, che tra il 2011 e il 2012 terrorizzò il Vibonese. Figliuzzi è anche il killer reo confesso dell’omicidio di Giuseppe Canale, avvenuto a Gallico di Reggio Calabria il 12 agosto del 2011.
Interrogato nel carcere di Opera, il pentito spiega che la sua affiliazione è avvenuta durante la Pasqua: «Noi detenuti avevamo le celle aperte e l’autorizzazione a cucinare e mangiare tutti insieme». Rammenta: «In quella situazione Loielo Cristian mi tagliava leggermente sul polso della mano destra con una specie di forbicetta della Chicco, rotta, che vendono all’interno degli istituti penitenziari, da cui era stata ricavata una lama». Loielo era il «mastro di tirata», avrebbe tagliato prima il polso destro di Nicola Figliuzzi e poi il suo: «Abbiamo sovrapposto l’uno sull’altro i polsi destri ed abbiamo macchiato con il nostro sangue l’effige di un santino, che subito abbiamo bruciato. Pronunciando prima una formula che non ricordo integralmente perché l’ho sentita una sola volta, solo in quella occasione. Posso riferire che l’inizio della formula è il seguente: “Brucerò come questo santino…”. Dopo abbiamo pronunciato insieme il giuramento del picciotto, sia io, sia Loielo Cristian».