«Il padrino si è fatto la plastica in Bulgaria, sia al volto sia ai polpastrelli. Ha problemi di salute: non ci vede quasi più ed è in dialisi. Della sua latitanza si occupa anche un esponente della ‘ndrangheta, legato alla zona jonica e ai clan di Rosarno». Il padrino risponde al nome di Matteo Messina Denaro, l’ultimo boss di spicco di Cosa nostra stragista latitante da 25 anni. A rivelare queste informazioni al settimanale L’Espresso, in un pezzo a firma di Lirio Abbate e Giovanni Tizian, è un supertestimone che ha incontrato Messina Denaro.

Gino, nome di fantasia, è un toscano entrato in affari con uomini di Cosa nostra e della ‘ndrangheta. L’uomo racconta dell’incontro avuto con il boss all’uscita del porto di Palermo, dove portò una valigetta piena di soldi e vide Messina Denaro dentro un’auto: «Era fisicamente robusto, di carnagione scura, i capelli mori tirati all’indietro e portava occhiali scuri». Gino guarda l’identikit tracciato e spiega che «la faccia dello “zio” – così viene chiamato il boss – è diversa. Il naso è più affusolato». Si scopre che Messina Denaro ha spostato molti interessi in Toscana e Liguria, ha soggiornato di frequente a Pisa e viaggia spesso per Lamezia Terme. Della sua rete di protezione si occupano anche alcuni esponenti della ‘ndrangheta, confermando quanto affermato due anni addietro dal procuratore aggiunto di Reggio, Giuseppe Lombardo ai microfoni di LaC Tv.

 

È possibile escludere un ruolo dei calabresi nella latitanza del boss? Nel servizio viene svelato che anche un magistrato, in servizio al Nord Italia, è imparentato con il boss. Nessun elemento che lo ricolleghi alle sue attività, ma – scrivono Tizian e Abbate - «emerge un rapporto con i mafiosi palermitani». Gli inquirenti collegano al magistrato un’auto utilizzata dal boss Guttadauro. Messina Denaro, però, continua ad essere un fantasma.