Pino ama Angela. E Angela ama Pino. Angela, però, è divenuta anche la cognata del boss. E il boss ha deciso: le donne della famiglia devono rispondere solo alle logiche della mafia e non a quelle dell’amore. Pino ha ventidue anni, lavora come muratore nella piccola impresa edile di famiglia. Vive ad Acquaro, nell’entroterra calabro, nel cuore del buco nero della lupara bianca, che tra il 1980 e la fine del millennio, a queste latitudini, nel vibonese miete circa cinquanta vittime.

 

È il 15 gennaio 1994, è sabato. Pino lascia la casa della nonna, alla quale tiene compagnia durante la notte. I suoi familiari sanno che deve andare a Vibo, per il mercato. Pino però, a casa non tornerà mai. Attirato in una trappola, ucciso con un colpo di pistola alla testa, gettato in una buca, il suo corpo dato alle fiamme. E mentre il fuoco arde, sparato ancora, per sfregio. Due mesi dopo i suoi resti verranno ritrovati in una zona impervia di Monsoreto di Dinami. Diventa collaboratore di giustizia l’ex latitante Gaetano Albanese, che arrestato per altri reati confessa gli atroci delitti di cui è stato autore. È lui che consente di ritrovare ciò che resta di Pino. Lui racconta i dettagli dell’esecuzione e, soprattutto, il movente: Pino non voleva rinunciare a quell’amore. Pino aveva sfidato apertamente il boss e quella che i giudici di Cassazione, rendendo giustizia a questa vittima innocente della ndrangheta, definirono come la “dignitudine” del capomafia nel suo territorio. Il boss chiese ad Albanese, allora fuggiasco dalla giustizia, di ammazzarlo e farlo sparire. E Albanese lo fece.

 

La storia di questo atroce delitto nell’ultima puntata di LaC Dossier “La mafia uccise l'amore”, a cura di Tiziana Bagnato e Pietro Comito.