Due euro e cinquanta, non un centesimo in meno. C’è stato un tempo, non troppo lontano, in cui concetti come libero mercato, incontro fra domanda e offerta o sorveglianza dei prezzi, a Mileto e dintorni potevano sembrare espressioni vuote, almeno in tema di panificazione. Dagli atti dell’inchiesta “Maestrale-Carthago”, infatti, emerge come nel 2017 la ‘ndrangheta abbia tentato di stabilire il prezzo di vendita del pane in numerosi supermercati del centro vibonese.

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Un racket che, per come ricostruito dagli investigatori, ha avuto in Pasquale Mesiano il protagonista indiscusso. L’uomo, infatti, è titolare di un’azienda che produce e rivende il pane e i suoi derivati. Rifornisce diversi market e, non a caso, è con due dei suoi clienti – Raffaele Corigliano e Antonino Fiorillo – che in quel periodo sarebbe andato in pressing sugli altri produttori della zona per costringerli a sottostare alla sua legge di mercato: due euro e cinquanta al chilo, per l’appunto. Non un centesimo di meno. L’obiettivo, va da sé, era quello di abbattere la concorrenza in modo tale da accrescere i guadagni delle proprie aziende e di quelle a lui contigue.

C’era poco di che discutere, l’alternativa da lui proposta ai malcapitati fornai, suoi concorrenti, era una soltanto: rinunciare alle forniture. Le intercettazioni raccolte durante le indagini immortalano anche questo aspetto. A un piccolo commerciante che protesta per quell’imposizione, Mesiano replica con poche ma sentite parole: «Mi dispiace, ma tu nella provincia di Vibo pane non ne porti più».

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Al fornaio cosentino che ha appena cominciato a piazzare i suoi prodotti nei supermarket della zona al prezzo di un euro, riserva un ragionamento più articolato: «Per questa volta è andata così, ma la prossima volta quando portate il pane di mattina, portatelo a 2.50, perché a Mileto, a Vibo è così. Nella vostra provincia fate quello che volete».

I prezzi promozionali li vedeva con il fumo negli occhi, ma non tutti sottostavano ai suoi diktat. Sempre a un euro al chilo ammontava l’accordo di fornitura stipulato a metà dicembre del 2017 da un produttore locale con una grossa catena di market. In quel caso, Mesiano lo invia a trattare con gli amministratori del punto vendita, che però rispondono picche. A quel punto, cambia strategia: gli chiede di lasciare a mani vuote il supermarket “ribelle”, ma gli va male: il piccolo fornaio, infatti, decide di onorare ugualmente il contratto di fornitura. Per questi fatti, a lui e ai suoi presunti complici gli inquirenti contestano oggi i reati di illecita concorrenza tramite minacce o violenza, estorsione e tentata estorsione, tutte aggravate da metodo e finalità mafiose.