Se non avesse litigato con sua moglie, forse, sarebbe ancora uno dei cinque narcotrafficanti più ricercati al mondo. Rocco Morabito detto Tamunga, estradato questa mattina in Italia dal Brasile, è stato arrestato nel settembre 2017 dopo oltre 20 anni di latitanza nell’hotel Centrale di Montevideo.

Il famosissimo broker calabrese della droga si trovava in quell’albergo perché, come riferiscono fonti del paese Sudamericano, era in rotta con la moglie ed era in attesa di trovare una nuova sistemazione. Fino a poche settimane prima viveva insieme a sua moglie e sua figlia in una bella villa (ma pare non sfarzosa) in località di Punta del Este, vicino a Maldonado, a un’ora e mezza dalla capitale Montevideo.

Se Morabito fosse rimasto in quella casa seguendo la solita routine, lontano dalla capitale, con ogni probabilità la sua latitanza sarebbe continuata perché la nuova identità che aveva assunto al momento di entrare nel 2004 in Uruguay, Francisco Antonio Capeletto Souza, gli aveva permesso di rimanere per tanti anni al di fuori dei radar delle polizie di mezzo mondo che lo braccavano. Per le autorità locali era un imprenditore agricolo che produceva soia.

I media locali uruguaiani, infatti, citando fonti di polizia, sostengono che la perquisizione in quell’hotel sia stata la causa determinante per la sua identificazione e l’arresto da parte delle autorità locali. Il motivo è che i sistemi degli hotel sono collegati a quelli del Ministero dell'Interno. Nelle informazioni della polizia è emerso che Morabito era nel paese da circa 13 anni, che ha rinnovato la carta d'identità due volte e ha lasciato il paese più volte, andando per esempio a Buenos Aires e alcune volte a San Paolo.

Rocco Morabito sapeva che uscire dalla routine che aveva seguito fino a quel momento era pericoloso, tanto che quando le forze di polizia fecero irruzioni nella stanza del suo albergo, aveva con sé 13 telefoni cellulari, diverse foto del passaporto, una pistola automatica da 9 millimetri, 20 carte di credito, una notevole quantità di denaro in valuta uruguaiana ed estera e i suoi documenti ottenuti in Uruguay sotto falso nome.

Secondo quanto emerse dell'indagine, il 50enne narcotrafficante era entrato in Uruguay nel 2004 con documenti brasiliani. Ciò gli aveva permesso di ottenere successivamente documenti uruguaiani. Secondo quanto raccontato da alcuni testimoni che sono entrati in contatto con Morabito negli anni vissuti in Uruguay, l’immagine del capo è molto lontana da quella stereotipata del tipico narcotrafficante che ostenta la sua ricchezza e anche dal Morabito degli anni ‘90 di Milano, tutto coca e valigette piene di milioni. Chi lo ha conosciuto parla di un uomo che sembrava arrivare «dalla classe medio-bassa» che «non parlava di soldi», che «guidava un’auto cinese super modesta».

L’uomo che gli aveva affittato la casa di Punta del Este ha detto di essere rimasto sorpreso nell’apprendere che Morabito fosse ricercato dall'Interpol, descrivendolo come una persona molto tranquilla, che viveva per sua figlia: «Non è il tipo di narcotrafficante» che va «in ristoranti e ha auto di lusso. Teneva un profilo basso».

Profilo basso confermato, al momento del suo arresto, anche ministero: Morabito viveva a Maldonado, un'ora e mezza a est da Montevideo, ed era impegnato nella produzione agricola su terreni affittati.

Che non fosse solo un imprenditore agricolo, però, se ne accorgono alla fine anche in Uruguay. Dal carcere dove viene rinchiuso in attesa dell’estradizione, il Tamunga riuscirà a fuggire due anni dopo, ma la parte più interessante riguarda proprio il periodo della sua detenzione. L’uomo mite, dedito alla famiglia e al lavoro non esiste più: Morabito torna a essere il famoso narcotrafficante legato alla ‘ndrangheta, un capo temuto e rispettato.

Secondo quanto emerso dalle indagini seguite alla sua fuga insieme ad altri tre detenuti, Rocco Morabito aveva libertà movimento nel carcere Centrale di Montevideo, usava le telecamere di sicurezza a suo piacimento e riceveva visite di ogni tipo, come quelle di ex calciatori uruguaiani che avevano giocato in Italia. Uno di questi, pare, andò a trovarlo 17 volte prima della fuga.

Secondo i detenuti che si trovavano nella prigione con Morabito, il capo aveva un uomo (in carcere per omicidio) a sua completa disposizione, definito il suo “cagnolino”. Questi preparava la tavola dove Morabito mangiava e riceveva i suoi visitatori. In cambio, Tamunga gli forniva vestiti e scarpe.

«Morabito – scrive la stampa uruguaiana - amava imporre le sue regole, ma era anche famoso per le sue tagliatelle, per il suo amore per i sigari e le visite» al di fuori della cerchia familiare.