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Sarebbe stato ospite dei calabresi, da latitante, per un lungo periodo di tempo fra Gioia Tauro e Rosarno il numero uno della mafia catanaese, Benedetto, detto “Nitto” Santapaola. Il boss di Cosa Nostra, salito al vertice della mafia catanese dopo l’omicidio nel 1978 del boss Giuseppe Calderone, di cui era stato un “capodecina”, avrebbe in particolare frequentato la masseria dei Molè di Gioia Tauro, posta in una zona al confine con contrada Bosco di Rosarno. E’ quanto svela l’inchiesta “’Ndrangheta stragista” che riporta le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Vincenzo Grimaldi di Taurianova, protagonista della guerra di mafia a Taurianova alleato agli Asciutto-Neri e schierato contro gli Avignone e gli Zagari. Si tratta dello stesso Vincenzo Grimaldi, il cui padre è stato ucciso in quella passata alle cronache come la “Strage del venerdì nero di Taurianova” in cui perse la vita Giuseppe Grimaldi, padre di Vincenzo, poi per metà decapitato.
“Non so quando sono nati questi rapporti tra i Piromalli e i Molè e Cosa Nostra - racconta Grimaldi – ma posso dire che quando io ho iniziato a far parte della ‘Ndrangheta, questi rapporti con Cosa Nostra erano già in corso. Ci scambiavamo “killer” e favori di ogni genere come ad esempio dare appoggio a latitanti. Mommo Molè mi spiegò ad esempio che coloro che avevano sparato a mia sorella, al funerale di mio padre, erano persone di Cosa Nostra della zona dei Giardini Naxos, legati alla famiglia Zagari oppure mi disse che Nitto Santapaola in persona era stato per un lungo periodo ospite della Masseria che io frequentavo quasi quotidianamente”.
Si tratta di un particolare di non poco conto, in quanto per i magistrati i Piromalli di Gioia Tauro (all’epoca una cosa sola con i Molè, a cui sono legati da rapporti di parentela) avrebbero avuto negli anni rapporti privilegiati con Benedetto Santapaola.
L’accordo fra i Molè, Santapaola e Totò Riina per le rapine sull’A3 nel tratto sino a Vibo
Vincenzo Grimaldi svela quindi anche alcuni particolari inediti sul rapporto fra Cosa Nostra e ‘Ndrangheta. “Vi era un accordo che prevedeva che il passaggio dei Tir dalla Sicilia verso il Nord-Italia attraverso la Calabria fosse garantito – spiega Grimaldi - nel senso che nessuno doveva toccare questi automezzi. In sostanza, mentre si potevano rapinare i Tir che scendevano verso la Sicilia non poteva invece succedere che le rapine fossero effettuate nei confronti dei Tir che procedevano in senso inverso. Preciso meglio quale era il funzionamento di questo meccanismo: Mommo Molè o persona da questi incaricata si incontrava con Santapaola o Riina o persone incaricate da questi ultimi. I siciliani consegnavano periodicamente a noi altri circa 300 milioni di vecchie lire. Molè o chi per lui, ritirati questi soldi li distribuiva alle diverse famiglie di ‘ndrangheta che controllavano il tratto autostradale tra Reggio Calabria e Vibo Valentia”.
In pratica le famiglie della ‘ndrangheta della fascia tirrenica reggina e vibonese che intascavano i soldi distribuiti dai Molè e pagati dai siciliani, “si impegnavano ad impedire qualsiasi rapina nei confronti dei Tir che salivano al Nord-Italia. Tutto ciò per impedire che anche occasionalmente e casualmente – spiega Grimaldi – fossero rapinati del loro carico o comunque intercettati. Tir che portavano armi e droga dalla Sicilia al Nord-Italia”.
I più forti dell’intera ‘ndrangheta: i Piromalli-Molè ed i legami con Cosa Nostra
Vincenzo Grimaldi racconta di aver appreso i particolari di questo accordo con i siciliani direttamente dal boss Girolamo, Mommo, Molè, e di aver visto personalmente il denaro contante che Mommo Molè portava dalla Sicilia. Del resto – ha svelato ancora il collaboratore di giustizia - se i siciliani, Nitto Santapaola e Totò Riina, dovevano mandare una “imbasciata” in Calabria di un certo rilievo, si rivolgevano sicuramente in prima battuta ai Piromalli-Molè con i quali avevano un rapporto assolutamente privilegiato. All’epoca, quella dei Piromalli-Molè era la famiglia più potente della ‘Ndrangheta calabrese esercitando un’influenza determinante anche su cosche che da un punto di vista territoriale si trovavano al di fuori della Piana di Gioia Tauro. Posso dire per esempio che proprio per incontrarsi e ricevere indicazioni, venivano alla Masseria Molè-Piromalli anche gente del Cosentino come Franco Pino e Mancuso Luigi del Vibonese, persone che conoscevo personalmente – conclude Grimaldi - nonchè altri della zona più a nord della Piana”.
Il No dei siciliani ai calabresi per rapire Pippo Baudo
L’inchiesta “Ndrangheta stragista”, ad ulteriore conferma dei rapporti fra ‘Ndrangheta e Cosa Nostra, riporta poi le dichiarazioni del collaboratore di giustizia catanese Maurizio Avola, killer che ha confessato più di settanta omicidi. “Posso dire – ha dichiarato Avola, sicario del clan Santapaola - che alcuni calabresi, non so chi, chiesero nel 1990 a Nitto Santapaola il permesso di rapire Pippo Baudo. Nitto Santapaola negò il permesso. Questo fatto mi venne riferito da Samperi Claudio oggi collaboratore”.
Più circostanziato, invece, il racconto che il pentito Samperi fa ai magistrati sul tentativo di rapimento per estorsione studiato dalla ' ndrangheta. Alla fine degli anni ' 80 Samperi trafficava in droga con esponenti delle cosche calabresi: "In quel periodo - ha rivelato ai giudici - il mio fornitore abituale di eroina e cocaina era un personaggio di Platì, di cui non ricordo il nome ma che mi risulta essere stato coinvolto nel sequestro di Cesare Casella... Un giorno questo tizio di Platì mi propose, prospettandomi un compenso di un miliardo, di partecipare al sequestro del noto presentatore televisivo Pippo Baudo.In particolare il mio compito era di condurlo al primo rifornimento che si incontra lungo l' autostrada Reggio Calabria-Salerno, per il resto ci avrebbero pensato loro". Secondo la spartizione per territorio tra le cosche, il sequestro doveva dunque essere attuato o quantomeno ricevere l' autorizzazione dalla mafia catanese, e in particolare dal rappresentante della locale "famiglia" di Cosa nostra”. Samperi avrebbe quindi riferito la richiesta dei calabresi ad Aldo Ercolano, nipote di Santapaola. Ercolano però, secondo il racconto di Samperi, rifiutò l'offerta: "Mi disse di non accettare perché la nostra organizzazione non intendeva avere nulla a che fare con i sequestri di persona. Ciò è successo tra l' 89 e il ' 90...".
Giuseppe Baglivo