Si tratta in totale di 102 proprietà e fra questi 14 attività commerciali con sede a Roma e il noto Cafè de Paris di via Veneto. I legali: «Chi pagherà i danni causati da una giustizia disattenta e lenta?»
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La Corte d’Appello di Reggio Calabria, Sezione Misure di Prevenzione, ha accolto il ricorso presentato dai difensori di Vincenzo Alvaro, di Sinopoli, e dei familiari, intervenuti quali terzi interessati nel procedimento riguardante la confisca di 102 beni - tra cui 14 attività commerciali con sede in Roma - disponendo la restituzione dell’intero patrimonio. La decisione è arrivata a sei mesi dalla camera di consiglio nel corso della quale il procedimento è stato discusso, ed a dieci anni dall’inizio della vicenda.
I beni ritornano nella disponibilità dei proprietari
Tra le attività tornate nella disponibilità dei legittimi proprietari, vi è il Cafè de Paris, storico locale di via Veneto nella capitale e simbolo della dolce vita romana. Al locale erano stati messi i sigilli poiché, secondo i magistrati dell’antimafia, Vincenzo Alvaro, ufficialmente aiuto cuoco, in realtà sarebbe stato il deus ex machina di un “sistema” più complesso di cui il Cafè de Paris sarebbe stato solo un ingranaggio, ed a rendere la vicenda di interesse investigativo era la ritenuta posizione di boss della ‘ndrangheta di Sinopoli di Vincenzo Alvaro, il quale avrebbe operato a Roma, nel settore dell’imprenditoria, quale emissario della cosca calabrese. La decisione della corte territoriale arriva a seguito dell’annullamento, da parte della Suprema Corte, del provvedimento ablativo, e dopo una sequela di rinvii e di rimpalli che hanno prolungato la vicenda e penalizzato la maggior parte delle attività commerciali, che ritorneranno ora nella disponibilità dei legittimi titolari in stato di forte dissesto causato da una lunghissima gestione ad opera di terzi.
La decisione della Corte d'Appello
La difesa, quindi, dopo dieci anni è riuscita a far riconoscere l’assenza di un quadro indiziario capace di cristallizzare il requisito immancabile della pericolosità sociale in capo a Vincenzo Alvaro. La Corte d’Appello di Reggio Calabria, in sede di rinvio, ha così preso atto dell’assenza di elementi che consentano di attribuire a Vincenzo Alvaro la posizione di soggetto pericoloso in quanto intraneo all’omonima cosca di Sinopoli. I giudici hanno riconosciuto la fumosità di quello che era stato denominato il “sistema Alvaro” finalizzato, secondo la Procura, al riciclaggio di beni e denaro. La decisione arriva dopo la doppia conferma del sequestro, che era stata decisa in primo grado e nel primo giudizio di appello, ed a seguito dello stop imposto dai giudici di legittimità.
Il legale: «Giustizia lenta»
«Resta l’amarezza - afferma l’avvocato Tiziana Barillaro -, pur dopo una decisione favorevole e di così ampia portata, di fronte all’attesa che è stato necessario vivere, mantenendo il punto su una lotta che ha richiesto impegno e determinazione, mentre la soluzione era di tutta evidenza ed a portata di mano sin dal principio. La prova indefettibile della pericolosità sociale di Alvaro Vincenzo mancava a monte ed in radice, per cui non si comprende come già i primi giudici avessero potuto omettere immotivatamente di compiere la verifica preliminare e necessaria. L’errore è tanto più grave se si considera che Alvaro Vincenzo era stato anche assolto, nel frattempo, dal reato associativo di tipo mafioso. E la domanda che non posso non pormi a questo punto è consequenziale - e apre un dubbio degno di essere messo in evidenza e di avere risalto a livello più generale, perché figlio di una realtà troppo diffusa e troppo taciuta: chi pagherà i danni causati da una giustizia disattenta e lenta?» I difensori intervenuti nel procedimento, in rappresentanza di Vincenzo Alvaro e dei familiari, oltre all’avvocato Tiziana Barillaro, sono gli avvocati Domenico Cartolano e Fabrizio Gallo.