Dall’inchiesta della Dda siciliana emergono le figure di Gioacchino Cananzi e Antonio Strangio. Il primo avrebbe fornito cocaina ai siciliani dal 2021 (con l’inconveniente di un sequestro da 225mila euro), del secondo le indagini mostrano le cure per nascondere droga e denaro: lo smercio poteva fruttare più di 70mila euro al giorno
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La droga per i pusher messinesi arrivava dalla Calabria: due diversi canali, «uno proveniente dalla zona tirrenica e l’altro dalla zona jonica». È uno dei punti fermi nell'inchiesta dell'Antimafia peloritana che, oggi, ha portato all'arresto di 112 persone.
Il primo, secondo i magistrati della Dda siciliana, avrebbe fatto capo a Gioacchino Cananzi, 49 anni, di Rosarno. Uno dei presunti capi della gang peloritana di narcotrafficanti, in una intercettazione del gennaio 2022, spiega al proprio interlocutore di essere solito rifornirsi da un uomo che si sarebbe presentato «come il cognato di Piromalli». A volte basta un cognome per accreditarsi, anche se i messinesi non posso dirsi certi del pedigree criminale del fornitore: «Così si è presentato… che è il cognato… poi se imbroglia o non imbroglia non lo so. Questo… io non è che li conosco nelle Calabrie».
I contatti con il «cognato di Piromalli» tra alti, bassi e il sequestro di 225mila euro
Con qualche cenno biografico, i magistrati identificano Cananzi: sarebbe lui a rifornire «di ingenti quantitativi di cocaina» i messinesi. Arriva una conferma anche sulla parentela esibita dal broker calabrese, che «risulta legato ad Arcangelo Piromalli (non indagato in questa inchiesta, ndr) sia da rapporti di frequentazione sia da vincoli di carattere familiare».
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È del dicembre 2021 la prima intercettazione in cui si colgono i riferimenti a Cananzi. I “compari” siciliani fanno riferimento al fornitore: dal tenore della conversazione «si comprende – sottolinea il gip – che si stavano organizzando per raccogliere una cospicua somma di denaro da destinare agli approvvigionamenti di stupefacenti in vista delle festività natalizie». La movida chiama, i pusher rispondono. L’obiettivo era quello di «recuperare i crediti dai vari acquirenti e osservava che, se ciascuno di loro avesse aggiunto 10mila euro circa, si sarebbe riusciti a consegnare a “Gioacchino” 70, 80 o 90mila euro». Cifre che presuppongono volumi di traffico consistenti.
Un paio di giorni dopo i messinesi si lamentano «della scarsa qualità della droga fornita da Gioacchino, che non intendeva riprenderla indietro». Per quanto scontenti, però, gli acquirenti sottolineano che «fino a quel momento» il calabrese «aveva fornito al guppo “33 pacchi” dei quali nessuno aveva avuto motivo di lamentarsi». Chi si lamenta è, invece, proprio Cananzi per il sequestro di 225mila euro: erano i soldi diretti da Messina alla Piana di Gioia Tauro come pagamento di una grossa fornitura di droga. Il denaro viene intercettato dalle forze dell’ordine nell’auto di un corriere, Santina Pasqualone: la donna sbarca a Villa San Giovanni e viene fermata. Affare sfumato e panico tra fornitori e pusher. I messinesi hanno paura che i calabresi siano sotto indagine («questi sono seguiti»), Cananzi si lamenta dell’imperizia dei suoi soci in affari.
La paranoia del broker della Locride per eludere i controlli
Sulla costa jonica ci sono gli altri fornitori del gruppo di Messina. Per i magistrati antimafia al loro vertice ci sarebbe Antonio Strangio, 42enne di Locri «che ha rifornito il gruppo di ingenti quantità di sostanza stupefacente, avvalendosi della collaborazione di Bruno Giorgi e, dopo l’arresto di quest’ultimo, di altri corrieri». Le indagini documentano le forniture provenienti dalla Locride tra gennaio e luglio 2022: proprio in questo periodo sono stati arrestati alcuni corrieri.
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L’inchiesta ricostruisce il modus operandi di Strangio, le sue cautele per eludere i controlli «sia per effettuare le consegne sia per riscuotere il denaro».
Le consegne sarebbero «state effettuate utilizzando autovetture e soggetti diversi, che si imbarcavano a Villa San Giovanni diretti a Messina»; la droga «veniva nascosta all’interno di ruote di scorta mentre Strangio quasi sempre accompagnava, a bordo di un altro veicolo che fungeva da apripista, il proprio corriere, per effettuare un vero e proprio controllo del territorio prima che giungesse a destinazione il carico».
Le comunicazioni, è ormai un grande classico, avvenivano con telefoni “criptati”. Ma la paranoia del broker calabrese cresce dopo i primi arresti: le autovetture iniziano «a viaggiare su navi differenti», l’organizzazione si dota di corrieri di sesso femminile, di mezzi modificati per nascondere la droga e le trasferte a Messina avvengono «senza indicare un giorno o un orario preciso» per paura di controlli. I soci si preoccupano di trovare un gommista di fiducia: sia la droga (nella direzione Calabria-Sicilia) che il denaro (nel verso opposto) venivano spesso nascosti nei pneumatici e recuperati tagliandoli.
Il giro d'affari a Messina: «Facciamo pure 70mila euro in un giorno»
Il primo contatto tra il gruppo Stangio-Giorgi e la gang peloritana viene documentato nel gennaio 2022. È Rosario Abate il terminale siciliano dei traffici. Dall’intercettazione si capisce che il volume dello smercio è grosso, si riescono a piazzare più di 10 “pacchi” al giorno: «Passi ogni dieci giorni e ti prendi 180… 200… 250… certo (…) Sono questi i prezzi che facciamo, la media… facciamo dai 10 ai 20mila euro al giorno, non è che facciamo meno, capito che ti voglio dire? Tranne che vendiamo un pacco da mano a mano e facciamo pure 70mila euro in un giorno». Un sistema ben oliato: Abate arriva a spiegare a Strangio quali fossero gli orari di lavoro dei pusher messinesi, cioè dalle dieci (di sera, ndr) alle due di mattina, facendo intendere che quelli del suo gruppo «vivessero esclusivamente dei proventi riconducibili al traffico di droga» e «aggiungendo che per prudenza non avevano l’abitudine di tenere soldi a casa».