«Il Piano Covid - tuonava il generale a Non è l’Arena - l’ho fatto io a giugno». Per essere precisi, Saverio Cotticelli, il 18 giugno 2020, aveva firmato il decreto con cui approvava il «Documento di riordino della rete ospedaliera in emergenza Covid 19». Era altra cosa il «Programma operativo per la gestione dell’emergenza Covid», che l’ex commissario alla Sanità calabrese ha scoperto solo davanti alle telecamere di Titolo V, leggendo in presa diretta la risposta del Ministero ad un suo quesito, fosse un suo dovere redigere.

Terapie intensive… fantasma?

Era questa una premessa necessaria. Andiamo, così, a quello che il generale definisce come il suo «Piano Covid». Alla pagina numero 18, si legge: «Le linee di indirizzo organizzative per il potenziamento della rete ospedaliera per emergenza Covid 19 (art. 2 decreto legge 19 maggio 2020 n.34) emanate dal Ministero della Salute in data 29 maggio 2020, hanno registrato nella Regione Calabria una dotazione attuale di numero 146 posti letto. Pertanto al fine di provvedere al raggiungimento del numero 280 posti letto previsti si procede all’incremento su base regionale di numero 134 posti letto».

Prima i sindacati, poi Cotticelli

I numeri, a questo punto, diventano cruciali. Tra quelli rappresentati dalle carte (straccia?) e quelli reali potrebbe esserci una grossa differenza. Almeno è questo ciò che sospettano i segretari regionali di Cgil, Cisl e Uil, Angelo Sposato, Tonino Russo e Santo Biondo, nel loro esposto depositato alla Procura della Repubblica di Catanzaro. Il loro incontro con il procuratore Nicola Gratteri, l’aggiunto Vincenzo Capomolla e gli ufficiali della Guardia di finanza, ha proceduto di poche ore quello con lo stesso Cotticelli, il quale - come promesso nello studio di Massimo Giletti - si è recato a piazza Matteotti per riferire sia sulla storia del suo mandato calabrese, sia sulle supposte trame che lo avrebbero condotto prima alla clamorose gaffe nell’intervista con l’inviato di Titolo V Walter Molino e poi a gettare la spugna.

Il riordino di una sanità inesistente

I sindacati, in sostanza, nel chiedere che sia fatta luce sulle azioni e le omissioni che avrebbero aggravato le criticità del sistema sanitario calabrese, prossimo al collasso davanti al dilagare della pandemia, sul numero di partenza dei posti in Terapia intensiva (quei 146 da elevare a 280, per come indicato dal Ministero della Salute) si mostrano più che scettici. In base alle loro fonti - «addetti ai lavori» evidentemente di riferimento del sindacato - sarebbero invece tra i 113 ed i 120. Se questo sospetto fosse fondato, è evidente che il «Piano Covid», ovvero il «Documento di riordino della rete ospedaliera in emergenza Covid 19» andrebbe a “riordinare” una sanità che non esiste.

E gli altri 134 posti letto?

Magari Cgil, Cisl e Uil si sbagliano. Magari i posti letto calabresi in Terapia intensiva sono davvero 146. Ma cosa si è fatto, da giugno ad oggi, per aggiungere quei 134 necessari ad arrivare ai 280 posti letti previsti dal Ministero della Salute? Difficile che si sia fatto qualcosa se, come noto, solo nel corso dell’intervista a Titolo V, qualche settimana addietro, in piena deflagrazione della seconda ondata pandemica, l’allora commissario ad acta prese atto che fosse suo compito redigere il «Programma operativo» necessario a trasformare gli indirizzi del riordino in fatti concreti.

La selva della sanità

La Procura di Catanzaro indaga e, certamente, saranno utili anche gli spunti del generale Cotticelli. Certo è che l’inchiesta avviata di concerto con la Guardia di Finanza si inserisce in un ginepraio in cui è complicato districarsi: presunti posti letto fantasma, gli appetiti più o meno legittimi dei privati, ritardi nel processo dei tamponi. E poi i nuovi ospedali che rallentano mentre i vecchi, iniziando da quelli prossimi alla dismissione, subiscono interventi di manutenzione ed adeguamento. Sullo sfondo l’origine di ogni male, ovvero il debito monstre della sanità calabrese. Ed è qui - al netto del passivo inquantificato ed inquantificabile della sanità reggina - c’è quello enorme e ballerino che ha origine nel capoluogo di regione a causa del crack della Fondazione Campanella.

Il buco della Campanella

Si tratta di quei «cento milioni di euro risalenti al 2014» (in realtà sono circa 94) che il generale Cotticelli contestava essere stati “caricati” sulla sua gestione. Dalla genesi del polo oncologico, nel 2002, alla messa in liquidazione, nel 2014, un autentico disastro sul quale è ancora aperta l’indagine penale. Quel buco milionario era stato in pratica messo sotto un tappeto nelle more della definizione di un contenzioso tra la stessa Fondazione e la Regione, in primo grado (correva il 10 novembre 2015) condannata a versare oltre 81milioni di euro. Decisione riformata, e completamente ribaltata a favore della Regione, dalla Corte d’Appello di Catanzaro il 4 dicembre 2017. Con sentenza della Corte di Cassazione, il 3 luglio 2019, veniva rigettato il ricorso e confermava la decisione del secondo grado. Oggi, quindi, accade che il buco del Polo oncologico Fondazione Campanella finisce con il gravare su quello del Policlinico universitario di Catanzaro, alle prese con un passivo certificato nel 2019 da oltre 154milioni, e quindi sul debito monstre della sanità calabrese.

La verità sui numeri

Una volta acquisito il verdetto definitivo della Cassazione, era stato Giuseppe Zuccatelli, nelle vesti di commissario dell’Azienda universitaria Mater Domini, a tirare il debito da sotto il tappeto con lo scopo dichiarato di «riportare i numeri alla cruda realtà». Zuccatelli - al netto delle sue tanto eccentriche quanto imbarazzanti esternazioni sull’uso della mascherina - mettendo i conti in ordine, s’è districato tra crediti inesigibili, debiti riaffiorati e fino ad allora ignorati, turbolenti rapporti finanziari (e giudiziari) tra il Policlinico Mater Domini e l’Università Magna Graecia. Egli ha avviato un’operazione di trasparenza decisa e lineare sul deficit, sebbene contestata dall’ex commissario Cotticelli che l’ha recepita quasi come una manovra per offuscarne il lavoro davanti al Tavolo interministeriale di monitoraggio sul piano di rientro: che ha riscontrato un disavanzo da 225milioni nel consuntivo del 2019 ed una contrazione dei livelli essenziali di assistenza da 139 punti a 162

Il teste Zuccatelli

Magari sarà proprio Zuccatelli, dimessosi da ogni incarico (e rassegnato - ipse dixit - alla lettura ed alla pensione), un teste prezioso per l’indagine del pool di Gratteri e della Guardia di finanza. Aiuterebbe a districare e riavvolgere quella matassa che (in questo caso sì, partendo dal crack della Fondazione Campanella) porterebbe alla luce le responsabilità delle lobby di potere calabresi: politici, burocrati, accademici, massoni borderline, tutti coinvolti nella disinvolta gestione di quello che doveva essere un polo oncologico d’eccellenza e che si è invece trasformato nella metafora delle storture sanitarie calabresi.