Dalla ricostruzione del pm Lombardo emerge il “patto” fra la componente riservata e quella visibile della ‘Ndrangheta. Sullo sfondo la faida tra Raffa e Scopelliti. Il pm: «Ecco perché l’ex governatore non è in questo processo»
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Seicento miliardi di lire. A tanto ammontava la somma prevista dal Decreto Reggio del 1989, per la città di Reggio Calabria. Un fiume di denaro sul quale – è ormai storia – arrivò puntuale l’interesse della ‘Ndrangheta. Ora, dalla requisitoria del processo “Gotha”, si scopre come anche la massomafia al cui vertice, nell’impostazione accusatoria, vi sono gli avvocati Paolo Romeo e Giorgio De Stefano ebbe particolari appetiti verso quelle somme. Del resto, come rimarcato dall’accusa, bisognava soddisfare la «fame della ‘Ndrangheta».
Decreto Reggio: l’obiettivo della massomafia
A ricostruire nel dettaglio quanto sarebbe avvenuto in quegli anni è il procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo. Il pm parte da un assunto: «Il metodo Romeo è pratico, è riuscito a condizionare dinamiche gestire anche da funzionari della Prefettura di Reggio Calabria. E mi riferisco al decreto Reggio».
Non nasconde, il pm, che quei fondi fossero ingentissimi per l’epoca. Tanto che l’articolo due riservava al sindaco di Reggio Calabria la possibilità di eseguire opere necessarie nel limite di 270 milioni di euro. Ma chi decideva la ripartizione del fondo? È l’articolo 3 a dirlo con chiarezza. «Alla ripartizione – spiega Lombardo – e alla determinazione dello stanziamento relativo a ciascun intervento provvede il comitato costituito dal presidente del Consiglio dei ministri o un suo delegato, dal Ministro per il Mezzogiorno, dal presidente della Regione, dal presidente della Provincia e dal sindaco di Reggio Calabria».
Una previsione che, a giudizio della pubblica accusa, consente una sovrapposizione con il progetto politico-criminale che si muove su piani diversi ed è in linea con il «programma portato avanti dalla componente riservata della ‘Ndrangheta».
Per Lombardo, dunque, si spiega perché «la progettualità deve coinvolgere anche la Regione». Nella lunga requisitoria, in effetti, più volte il pm si è soffermato sull’idea di “occupare” tutte le caselle istituzionali, dal Comune di Reggio Calabria fino alla Regione.
Il patto da rispettare
E che la massomafia fosse interessata alla torta dei finanziamenti lo si ricaverebbe anche dalla conversazione intercettata il 17 ottobre del 2002, tra Paolo Romeo e Franco Germanò, ex assessore comunale che, nella ricostruzione dell’accusa, risulta essere uomo di Alberto Sarra e, quindi, anche dello stesso Romeo.
Germanò, in quegli anni, fu anche vittima di atti intimidatori che nella visione di Sarra lo avrebbero posto fuori dell’orbita di Romeo e soci.
Ma il procuratore inquadra il contesto più generale: «Quando Germanò intravede delle problematiche, chiede a Romeo cosa dovesse fare. E la risposta è di “stare attento che i rapporti di cui parliamo presuppongono il patto”. È il termine che ci serve per dire che tutto quello che stiamo ricostruendo avviene sulla base di un programma ben preciso». E il patto ricomprende anche quel riferimento alla EdilPrimavera e quindi alla famiglia di ‘Ndrangheta degli Alampi interessata poi al settore delle società miste. I problemi che riscontra Germanò «sono di tipo esclusivamente personale».
Ecco perché, a giudizio del pm, «Germanò è funzionale ad un determinato disegno utile a ribadire che il patto va oltre la persona».
Scopelliti e il decreto Reggio
La narrazione del pubblico ministero si sposta poi sull’ex governatore Giuseppe Scopelliti. «Ricorderete che Scopelliti viene scelto in un’ottica più ampia che coinvolge i potentati economici della città e di questo abbiamo prova in relazione al decreto Reggio, quando altri imprenditori importanti in relazione a determinate dinamico dicono “ci sono sempre in mezzo Paolo e Giorgio”. In tutti i contesti si fa riferimento a Paolo (Romeo) e Giorgio (De Stefano) come soggetti dai quali tutto dipende. “Non si muove foglia senza che voi non abbiate determinato”».
Il riferimento di Lombardo è ad una conversazione che «conferma questo particolare legame potentati-Scopelliti-disegno criminoso. In relazione ai soldi del decreto Reggio si fa riferimento a Cozzupoli, Romeo e ai potentati vicini a Giuseppe Scopelliti. I Cozzupoli hanno necessità di accedere a capitali importanti. All’indomani dell’elezione di Scopelliti, vengono intercettati Paolo Romeo con Giuseppe Rizzo prefetto vicario di Reggio Calabria. Affrontano la questione del decreto Reggio per individuare il modo migliore per legittimare le competenze a favore di Giuseppe Scopelliti.
Questa la chiave di lettura per capire quanto vive Giuseppe Raffa nel momento in cui svolge le funzioni di vice sindaco di questa città. La vicenda Raffa nel quadro delle dinamiche riferibili al capo A della rubrica, va interpretata con una proiezione verso il futuro rispetto a un ruolo che non può essere scollegato da Scopelliti che, in quel momento, non può non essere il funzionario delegato.
In prospettiva, nonostante la vicinanza di Raffa a determinati ambienti, questi non è un politico che può essere inserito in un disegno di più ampio respiro e non ha la collocazione pacifica in un determinato disegno che deve essere riconosciuta a Scopelliti. Ecco la forzatura con cui con si tenta di costringere Raffa a rinunciare al proprio ruolo di vicesindaco nella gestione dell’articolo 2. Questa è la chiave di lettura, da dare ai potentati economici, da utilizzare anche con riferimento alle municipalizzate».
Il riferimento fatto a Raffa è quello riguardante la famosa estate calda del 2010, quando Scopelliti, dopo l’elezione a governatore, lavorò per tenere comunque la delega alla gestione dei fondi del decreto Reggio. Una funzione che sarebbe dovuta toccare a Raffa, quale vicesindaco che prendeva il posto del nuovo governatore della Calabria. Ma ne nacque un conflitto devastante che portò alle minacciate dimissioni di Raffa, seguite da un azzeramento della giunta.
Politici creati in laboratorio
La ricostruzione di Lombardo spazia anche sulle dichiarazioni del pentito Nino Fiume e, segnatamente, all’incontro raccontato fra Giuseppe De Stefano e Giuseppe Scopelliti. «Fiume ci dice che i giudizi non erano positivi – afferma Lombardo – ma che una decisione era stata presa e un disegno andava portato avanti. “Ho incontrato il soggetto scelto, non è importante che mi piaccia. È stato scelto, si faccia quello che si deve fare”», riprende Lombardo riportando il narrato indiretto di De Stefano.
«Ecco la gestione di una macchina complessa che va ben oltre il capo unico – rimarca il Procuratore – che qualcun ha avuto la tentazione di individuare. C’è collegialità. Plurisoggettività quale strumento vero di potere, per la difficoltà che genera».
Per Lombardo, dunque, «vi è il coinvolgimento da parte di Romeo di più soggetti: Scopelliti al Comune, Fuda alla provincia (dal 2002 al 2005) esattamente come vuole lui, come vuole la componente riservata della ‘ndrangheta. Come in quella rivista massonica in cui si parla del grande architetto dell’universo, visibile e invisibile. Lui affianca Giorgio De Stefano. Lui “si affianca a”. Lui ottiene quello che la ‘Ndrangheta deve ottenere».
Ed allora l’interrogativo è d’obbligo: «Sapete perché Fuda non fa il presidente della Regione? Per un problema di tipo procedimentale. Fuda salta nel momento in cui l’indagine di Catanzaro svela una parte del disegno. Guarda caso. E l’interesse di Fuda presidente della provincia e poi regione e già orientato alla città metropolitana. Ecco perché Scopelliti e non Naccari Carlizzi».
Secondo il procuratore aggiunto, dunque, la conversazione del 20 aprile 2002 va letta congiuntamente a quella del 5 giugno 2002 che «spiega cosa significa una espressione testuale: “tutti questi soggetti sono stati un’invenzione nostra”. Come un’invenzione nostra? Sono soggetti politici creati in un laboratorio criminale che non ha eguali né in Italia né altrove».
«In quel laboratorio criminale – prosegue il procuratore – cerchiamo di capire perché quella domanda che ci siamo posti all’inizio e che non ha avuto risposta: comprendere perché Scopelliti non è parte di questo processo».
La posizione di Scopelliti
Per il pm «il corretto inquadramento della figura di Scopelliti, nel momento in cui sono state effettuate le indagini, non era stato raggiunto. Questo è il motivo per cui non è parte di questo processo. E questo è un motivo che si lega ad una serie di acquisizioni che ruotano attorno ad altre acquisizioni del maggio 2002 quando era sempre Romeo a fare affermazioni categoriche che regolarmente si sono verificate e, per riassumere, spiegava che non è sufficiente vincere, ma mettere Scopelliti nelle condizioni di dare ascolto agli altri e poi lo si circonda per colpirlo. Ecco lo scrupolo che ci vuole nel momento in cui un inquadramento complesso deve essere fatto con attenzione.
Portare all’attenzione del giudice solo quello che è puntualmente ricostruito. Abbiamo ritenuto di aver correttamente ricostruito completamente le figure che trovate nell’arco dell’impulso dell’azione penale in relazione a temi assolutamente nuovi rispetto al loro inquadramento in un ambito di ‘Ndrangheta».
Insomma, per il procuratore aggiunto quando si fecero le indagini sulla componente riservata della ‘Ndrangheta, proprio in virtù degli elementi acquisiti, non vi era certezza sul ruolo rivestito da Scopelliti: se un politico “utilizzato” dal sistema o se parte di quel sistema.
Dubbio che ha consigliato di non inserirlo nel calderone portato poi a processo e per il quale sono ora in corso gli interventi difensivi che porteranno successivamente alla sentenza di primo grado. Momento nel quale si capirà se le tesi della Dda reggina troveranno una prima conferma.