Prima le pressioni per ottenere un’assunzione, poi le richieste di denaro. Le indagini della Dda di Catanzaro e della Questura di Crotone sull’estorsione a una ditta che ha la concessione per la gestione di alcuni pontili
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Fa gola alla ’Ndrangheta il Porto di Catanzaro Lido. E la vicenda che ha portato oggi all’arresto di tre persone per tentata estorsione ne è la spia. Ad avvicinare un imprenditore di Crotone – che aveva ottenuto la concessione demaniale marittima per la gestione di alcuni pontili nel porto di Catanzaro Lido – e che ha denunciato subito ogni cosa, sarebbero stati in tre: Luigi Mendicino, 48 anni, di Crotone (detenuto in carcere), Luigi Foschini, 72 anni, di Crotone, e Antonio Carvelli, 75 anni, di Isola Capo Rizzuto (tutti e due ai domiciliari).
L’imprenditore aveva ottenuto la concessione demaniale a gennaio 2023. Mendicino e Foscini avevano intimato all’uomo di doveva versare del denaro perché alcuni loro «…amici di Catanzaro volevano “la loro torta”».
Le visite di Carvelli e le richieste
Il primo ad avvicinarlo è stato, raccontano i brogliacci dell’inchiesta, Antonio Carvelli, un uomo che la stessa persona offesa ammette di conoscere da 30 anni. Carvelli lo raggiunge nel suo ufficio in due occasioni: il 10 luglio e il 9 agosto avvertendolo che avrebbe dovuto incontrare delle persone, delle quali non fa i nomi.
Il 12 settembre Carvelli si presenta insieme a Mendicino e Foschini. Quest’ultimo appartiene, raccontano le indagini della Dda di Catanzaro, al gruppo criminale Barilari-Foschini, costola della cosca Vrenna-Corigliano-Bonaventura.
La denuncia in Questura e l'incontro al bar
L’imprenditore racconta agli agenti della Questura di Crotone della visita di Carvelli nel proprio ufficio.
Carvelli gli avrebbe raccontato di avere assistito casualmente ad una discussione intercorsa tra Luigi Foschini detto “Gino ’’ e un altro soggetto della famiglia Barilari non meglio identificato. Foschini avrebbe chiesto al non meglio identificato soggetto di chiedere al figlio dell'imprenditore un posto di lavoro nell'azienda di famiglia. Qui Carvelli si intromette e, affermando di conoscere l’imprenditore, promette che avrebbe fatto egli stesso da tramite per favorire l’incontro per l’assunzione.
A questo punto l’imprenditore placca subito Carvelli dicendogli che non era nelle condizioni di assumere del personale, «tanto più se privo di specializzazioni professionali». Carvelli insiste, invita l’imprenditore a incontrare i diretti interessati e poi torna. Torna ad agosto e ricomincia a insistere – racconta la persona offesa in Questura – dice «che era importante incontrare la persona autrice della richiesta per darle una risposta». La vittima cede, fissa un incontro per il 12 agosto in un bar. Ma prima denuncia tutto alla Polizia e all’appuntamento si presentano, ben celati, anche gli investigatori che monitorano tutto e vedono Carvelli che presenta all’imprenditore due uomini, poi li lascia a parlare da soli. I due sono Foschini e Mendicino.
L’inchiesta | Tentata estorsione a ditta impegnata in lavori nel porto di Catanzaro Lido, tre arresti nel Crotonese - NOMI
«I Catanzaresi vogliono la loro torta»
Quello che i tre si sono detti lo racconterà poco dopo la stessa parte offesa agli agenti.
Luigi Foschini, detto “Gino”, avrebbe formulato una «richiesta di denaro, facendosi, a suo dire, portavoce dei “Catanzaresi”, i quali pretendevano una cosiddetta “torta”, in ragione del fatto che la ditta si era da poco aggiudicata la gara per la concessione dei pontili nel porto turistico di Catanzaro». Mendicino avrebbe poi aggiunto che i «“Catanzaresi” erano pronti a formulare la stessa richiesta direttamente al figlio» dell’imprenditore e «per scongiurare tale eventualità, lo stesso Mendicino aveva chiesto a Carvelli Antonio di contattarlo per incontrarlo». Mentre i due interlocutori si vestono da buoni samaritani, l’imprenditore non può che prendere tempo affermando di trovarsi in difficoltà economiche proprio per l’investimento nel porto di Catanzaro Lido. Un nuovo incontro viene promesso dopo Ferragosto.
Le indagini sui tre indagati
Il sette settembre Antonio Carvelli si presenta nell’ufficio dell’imprenditore senza nemmeno farsi annunciare «chiedendo se ci fossero novità» e rinnovandogli la richiesta di incontrare nuovamente Foschini e Mendicino.
L’imprenditore torna in Questura e racconta le novità aggiungendo di sentirsi «turbato e in pericolo, sia con riferimento all’incolumità della propria famiglia, sia in ordine alla sicurezza dei beni della propria impresa, sentendosi esposto a possibili gesti aggressivi».
L’attività investigativa della polizia aveva monitorato le utenze telefoniche degli indagati e anche i veicoli da loro usati. «Tuttavia, i pur avvenuti tentativi effettuati dalla polizia giudiziaria operante non fornivano risultati rilevanti», è scritto in una relazione. È venuto fuori che Luigi Foschini girava «a piedi o a bordo di una bicicletta elettrica e, inoltre, anche in quanto sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale, non risulta detenere apparecchi cellulari». Niente cellulari neanche per Mendicino mentre «dall’ascolto della corrispondenza telefonica del Carvelli non sono emersi ulteriori dettagli inerenti alla vicenda».
La Dda «incredibile dimestichezza nelle attività estorsive»
Nella richiesta di misure cautelari firmata dal sostituto procuratore Pasquale Mandolfino e dal procuratore facente funzioni Vincenzo Capomolla vengono messi in fila tutti gli elementi che si muovono verso la incriminazione dei tre indagati: «l’attività informativa sul territorio volta a captare che l’imprenditore si fosse da poco aggiudicato una commessa pubblica a Catanzaro, la ricerca fisica della vittima sul territorio attraverso incontri non preventivati telefonicamente con date e orari precisi, ma avvenuti direttamente dal vivo presso la sede dell’impresa dell’imprenditore ed estemporaneamente all’evidente fine di impedire alla vittima di allertare tempestivamente le forze dell’ordine, la scelta degli indagati di riferire la richiesta di denaro a non meglio precisati “amici catanzaresi” al fine di far temere alla vittima l’esistenza di un centro di potere criminale di cui essi erano apparentemente solo i portavoce, nonché la strategia di proporsi alla vittima come estorsori, per così dire, “buoni”, intervenuti quasi a “proteggere” l’imprenditore dalle imminenti richieste di presunti altri estorsori, per cosi dire, “cattivi” ormai prossimi a contattarlo, sono tutti dati rappresentativi di una incredibile dimestichezza nella realizzazione di attività estorsive e, dunque, della tendenza a reiterare gesti di tal fatta allorché gli odierni indagati, ove ancora liberi sul territorio, si imbattano in altri imprenditori assegnatari di lavori economicamente rilevanti».
Il gip: «Attendibile la denuncia dell'imprenditore»
Anche secondo il gip Luca Bonifacio esistono i gravi indizi di colpevolezza sui tre indagati vista la credibilità dell’imprenditore il quale ogni volta che è stato sentito dagli inquirenti «ha reso una ricostruzione dei fatti precisa e intrinsecamente coerente, riportando nomi, luoghi e circostanze dettagliate, tali da non destare sospetti in merito alla verosimiglianza del narrato». E anche il racconto del figlio dell’imprenditore «è integralmente sovrapponibile» a quello del padre.
Inoltre quando padre e figlio parlano al telefono riportano una versione dei fatti «allineata con quella riferita alle autorità inquirenti». Il gip ritiene «attendibile» il racconto della persona offesa il cui incontro con i tre indagati è stato effettivamente monitorato dalla polizia giudiziaria.
Inoltre il giudice Bonifacio ritiene anche sussistente l’aggravante mafiosa «per avere gli indagati posto in essere la condotta loro ascritta sia con modalità tali da rievocare la metodologia operativa dei sodalizi criminosi di tipo mafioso».
Le misure cautelari
Il gip ha destinato al carcere Luigi Mendicino perché è emerso «un contesto di forte pregnanza criminosa, con matrice ‘ndranghetista, da cui deriva il concreto e attuale pericolo che il Mendicino, se non sottoposto a misura, commetta altri delitti della medesima tipologia». Il giudice ha destinato ai domiciliari Foschini e Carvelli perché soggetti ultrasettantenni per i quali «l’adozione del confino carcerario richiede la sussistenza di esigenze cautelari di eccezionale gravità, non ravvisabili nel caso di specie».