Si è svolta questa mattina un’operazione del Comando Provinciale Carabinieri di Reggio Calabria, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia reggina, in esecuzione di ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di tre persone, ritenute responsabili, a vario titolo, di omicidio, estorsione, porto e detenzione di armi, con l’aggravante delle modalità mafiose. In manette Domenico Fioravanti, Saverio Santaiti, Giuseppe Laganà. In fase esecutiva i militari dell'Arma hanno tratto in arresto, al termine della perquisizione domiciliare, anche Salvatore Fioramonte,  33 anni, trovato in possesso di un revolver cal.38 con matricola abrasa, carico e occultato all'interno di un armadio nel garage della propria abitazione di San Ferdinando.

L'omicidio

Il delitto di Giuseppe Gioffrè, detto “Siberia”, avvenne a Seminara lo scorso 21 luglio in contrada Monte, in un terreno di proprietà in cui svolgeva l’attività di allevatore. L’uomo è stato ucciso a colpi d’arma da fuoco da due soggetti travisati. Nell’agguato rimase ferito anche un minore bulgaro, attinto al torace ed al braccio sinistro, e nella circostanza il capannone insistente sul fondo agricolo è stato parzialmente danneggiato da un incendio, probabilmente appiccato dagli stessi autori dell’omicidio.

L’inchiesta “Ares”

Il provvedimento scaturisce dalle indagini – collegate al più ampio contesto investigativo delineato dall’operazione “Ares” del 9 luglio scorso, che ha evidenziato la preponderante influenza delle formazioni della ‘ndrangheta di Rosarno sulle attività delittuose nella Piana e nei comuni pre-aspromontani – avviate dai Carabinieri del Gruppo di Gioia Tauro e coordinate dal Procuratore Aggiunto Gaetano Calogero Paci e dal Sostituto Procuratore Adriana Sciglio, a seguito dell’omicidio commesso in danno di Gioffrè Fabio Giuseppe, esponente di vertice dell’omonima cosca seminarese inquadrata nel mandamento tirrenico della ‘ndrangheta reggina.

Le indagini

Le indagini immediatamente avviate hanno permesso di ricostruire la dinamica dell’agguato e di accertare le responsabilità, quale esecutore materiale dell’omicidio in concorso con un altro soggetto in via di compiuta identificazione, di Domenico Fioramonte, titolare di un frantoio in Seminara, ritenuto contiguo ai “Grasso” di Rosarno.

 

Le acquisizioni investigative dei militari dell’Arma hanno consentito di inquadrare il grave episodio delittuoso nell’ambito delle dinamiche estorsive poste in essere dai gruppi “Laganà” e “Santaiti”, entrambi attivi nel territorio di Seminara e, a tratti, contrapposti alla cosca “Gioffrè”, di cui Giuseppe Gioffrè era un esponente di rilievo.

 

Nel corso degli accertamenti svolti per l’operazione “Ares”, infatti, erano state captate una serie di conversazioni ambientali dalle quali emergeva che nel maggio scorso i Fioramonte, legati da vincoli di parentela con i “Grasso”, si erano rivolti a Rosario Grasso per cercare protezione dalle continue e pressanti pretese estorsive dei “Laganà” e dei “Santaiti”, che stavano “strozzando” l’attività imprenditoriale di famiglia: si tratta di due estorsioni compiutamente documentate in danno dell’impresa familiare dei Fioramonte, reiterate in un ampio  arco temporale, oggetto dell’odierno provvedimento in relazione alle posizioni di Laganà Comandè Giuseppe Domenico e Santaiti Saverio Rocco.

Il ruolo di Gioffrè

In questo contesto aveva sin da subito assunto rilievo la figura di Gioffré Fabio Giuseppe (la vittima dell’omicidio), attivatosi autonomamente per portare davanti ai “Grasso” (la cui cosca non operava in Seminara ma si adoperava per i Fioramonte, considerati vicini alla famiglia) i soggetti che avevano commesso estorsioni nei confronti dei Fioramonte, ossia Laganà Comandé Giuseppe Domenico e Santaiti Saverio Rocco. L’intervento dei “Grasso” si rivelerà duplice, poiché consistito sia nel chiedere a Laganà Comandé di non vessare più i Fioramonte, sia nello spronare questi ultimi a reagire duramente nei confronti di ulteriori tentativi di estorsione, potendo contare proprio sull’autorevole appoggio dei “Grasso”.

Nei confronti dei “Santaiti”, che rifiuteranno di ridiscutere i termini dell’estorsione poiché ritenuti frutto di accordi pregressi e ormai consolidati, i “Grasso” valutavano di interessare un altro gruppo criminale di spessore, i “Bellocco”, per convincere i “Santaiti” a desistere dalle pretese finora attuate. Si tratta evidentemente di un ambito particolarmente insidioso, in cui il Gioffré dimostrava in maniera evidente una certa disinvoltura e una evidente credibilità, come attestato dai colloqui con il capocosca Grasso Rosario e dall’iniziativa di portare davanti a quest’ultimo Laganà e Santaiti. Il suo ruolo appare però molto delicato e rischioso poiché, in labile equilibrio fra rapporti obliqui e opachi,  risultavano  sin da subito concreti elementi che facevano intravedere un suo personale interesse nella vicenda.

È risultato quindi fisiologico che, nella famiglia Fioramonte, taluni riponessero fiducia nella capacità di mediazione del Gioffrè, mentre altri apparivano infastiditi dall’intromissione di quest’ultimo. Conferme nel senso delineato derivano anche da ulteriori acquisizioni, successive all’omicidio, quali l’improvvisa interruzione dei rapporti telefonici tra Fioramonte Domenico e il Gioffré, intensi fino all’11 luglio precedente, e una lite fra i due avvenuta al frantoio dei Fioramonte la mattina dell’omicidio.

La ricostruzione complessiva del contesto in cui è maturato l’evento delittuoso evidenzia come l’omicidio di Gioffrè costituisca la reazione sanguinaria della famiglia Fioramonte alle reiterate richieste estorsive ricevute dai mafiosi di Seminara, perpetrata da Fioramonte Domenico con l’evidente scopo di porre fine – con tale azione eclatante, così dimostrando di possedere un’analoga capacità criminale – alle reiterate ritorsioni subite dalla sua famiglia dai mafiosi seminaroti.

 

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