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«La mattina del 18 agosto Francesco Barone riceveva il commando dei tre uomini incappucciati che erano venuti ad eseguire l'omicidio di Francesca Bellocco». A scriverlo sono i giudici della Corte d’Assise di Palmi, presieduta da Silvia Capone, nelle oltre 300 pagine delle motivazioni della sentenza che ha condannato all’ergastolo il giovane rosarnese ritenuto responsabile dell’omicidio della madre. Una sentenza durissima; tanto dura quanto grave il fatto ritenuto commesso dall’imputato. Barone, nipote del capocosca Gregorio Bellocco, avrebbe assassinato la propria madre poiché avrebbe scoperto che la donna aveva una relazione extraconiugale con il presunto boss di Rosarno, Domenico Cacciola.
I fatti risalgono all’agosto del 2013 quando sparì, contestualmente, anche lo stesso Cacciola. Forse anche lui è stato assassinato. Nessuno dei suoi familiari ha denunciato la scomparsa o chiesto giustizia. A Rosarno l'onta si paga con la vita. La Bellocco e Cacciola erano già stati scoperti una prima volta; le famiglie, secondo l’inchiesta del pm antimafia Adriana Sciglio, decisero di non intervenire per scongiurare una guerra di mafia. I due però continuarono la relazione e furono scoperti proprio da Francesco Barone in quel caldo agosto di 5 anni fa. “Perdunatemi” gridò la donna al figlio. Ma ormai era troppo tardi. Il suo destino era già segnato. E proprio quella vana richiesta a di perdono al tribunale della ‘ndrangheta fu udita da un vicino di casa.
Un vigile urbano, adesso testimone di giustizia, raccontò tutto agli inquirenti. Quell’uomo- che ha messo a repentaglio la propria vita- «ha detto il vero», scrivono i giudici: è stato Francesco Barone ad organizzare-senza pietà- l’omicidio della madre. «È ragionevole pertanto ritenere che il Barone- continua la Corte d’Assise- abbia avuto il compito di assicurare che la madre, una volta scoperta, non si sottraesse all'esecuzione e non comunicasse con nessuno, nemmeno, o soprattutto, con il marito Salvatore Barone. Il distacco della batteria rilevato sul telefono in uso a Francesca Bellocco conferma la tesi dell'isolamento e del sequestro della donna ad opera del figlio (...).
Non c'era bisogno di spiegare nulla a Francesco Barone, che nella notte aveva già appreso quale era il destino della madre, e che l'aveva bloccata sequestrandola fino all'arrivo dei suoi complici. L'azione si svolgeva pertanto in pochi minuti, sufficienti però alla Bellocco per invocare la clemenza ed il perdono di quel sanguinario tribunale: "perdunatemi" o "perdunami" era l'espressione che omissis (il testimone di giustizia ndr) percepiva dalla sua abitazione, una voce nè urlata ma neanche sussurrata, una voce con un tono percepibile nelle prime ore mattutine della domenica di agosto, quando ancora tutti dormivano e regnava il silenzio». Adesso, dopo il deposito delle motivazione da parte della Corte d’Assise di Palmi, la difesa dell’imputato, rappresentata dai legali Giovanni Vecchio e Salvatore Staiano, con ogni probabilità ricorrerà in Appello.