Un funzionario del ministero dei Trasporti pronto a mettere le proprie conoscenze a disposizione del sistema che abbracciava un gruppo legato al figlio del “Tiradritto” e i Casalesi. Una dipendente di Poste italiane pagata dai clan calabresi per chiudere un occhio sulle segnalazioni antiriciclaggio. Colletti bianchi disponibili a creare società “cartiere” da intestare a prestanome delle ’ndrine (e non solo): per fare un esempio, a Reggio Emilia ne spuntarono 166 concentrate in un solo citofono.   

È un sistema che macina crediti d’imposta fittizi: l’ultima stima restituisce la cifra mostruosa di 2 miliardi di euro, denari che sarebbero nelle mani delle mafie, con la ’ndrangheta – al solito – in prima linea con oltre un miliardo di falsi crediti in mano.

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La Direzione investigativa antimafia basa questi numeri su indagini in corso: non si tratta delle frodi già emerse negli approfondimenti dell’Agenzia delle Entrate e della Guardia di finanza. Si tratta di falsi crediti per le misure più disparate: bonus facciate, sismabonus, bonus Ricerca&Sviluppo, superbonus creati da “cartiere” con la collaborazione di commercialisti e notai e l’aiuto di funzionari di Stato.

I soldi incassati con i crediti finiscono per finanziare traffici di droga, il denaro sporco poi ha bisogno di essere ripulito e riciclato e anche questo avviene attraverso schemi finanziari sofisticati: la ’ndrangheta si rivolge a professionisti per trasferire il denaro all’estero o a esperti informatici per sperimentare i vantaggi delle criptomonete.

La “finanza sporca” è la nuova frontiera delle attività criminali e delle contromisure investigative. Michele Carbone, direttore della Dia, ha spiegato al Sole 24 Ore che «le organizzazioni mafiose si sono dimostrate capaci di una “metamorfosi evolutiva” affiancando ai reati tradizionali nuovi business», tra cui le «frodi fiscali, specie nel settore dell’imposta sul valore aggiunto, delle accise e dei crediti d’imposta, attraverso il ricorso al sistema delle false fatturazioni, gestito grazie al controllo di articolate reti di società cartiere e di comodo situate in Italia e all’estero» Carbone fa sua una citazione (l’originale appartiene al Procuratore generale di Bergamo Rispoli) che rende l’idea del nuovo campo di azione delle organizzazioni criminali: «Per le mafie l’F24 è il nuovo kalashnikov». Le fatture per operazioni inesistenti sono il nuovo oro delle ’ndrine che così riescono a riciclare e trovare una giustificazione formale per le estorsioni o per attrarre nella loro orbita imprenditori disonesti.

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Ancora il Sole 24 Ore riporta riepiloga il prezzario delle operazioni legate alle false fatturazioni: l’11% se compiuto verso un imprenditore slegato alla cosca; 7% per quello che invece risulta affiliato.

Anche le richieste di “pizzo” sono cambiate: accanto all’estorsione arriva l’offerta di servizi come il procacciamento di appalti pubblici e l’eliminazione della concorrenza per ampliare gli affari della ditta amica. Tutti casi sui quali esistono inchieste delle Direzioni distrettuali antimafia.

Carbone ha affrontato, in parte, il tema in una recente audizione davanti alla Commissione parlamentare antimafia. In realtà, i commissari-parlamentari erano più concentrati sul presunto dossieraggio di Perugia e sugli accessi sospetti del finanziere Pasquale Striano sui dati di politici e vip. Carbone ha, però, puntato l’attenzione sull’importanza dei controlli e sulla necessità di rafforzarli: «Il sistema di antiriciclaggio vada non solo salvaguardato, ma valorizzato ulteriormente. Siamo in presenza di una sfida permanente volta a rincorrere e contrastare le tecniche sempre più sofisticate e complesse di occultamento e reimpiego dei proventi illeciti da parte della criminalità mafiosa ed economica».

La sua analisi evidenzia il supporto alle mafie della «cosiddetta “borghesia mafiosa” che non disdegna l'odore del denaro sporco in cambio di consigli e consulenze tecniche sul piano giuridico, finanziario, contabile e imprenditoriale, suggerendo preziose soluzioni di reinvestimento dei capitali illeciti pure all'estero, sfruttando le asimmetrie nelle regolamentazioni di contrasto dei vari Stati che tuttora permangono».

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Un quadro che, per il direttore della Dia, rimanda alla «delicatezza dell'attuale fase storica del nostro Paese, alle prese con l'impiego delle ingenti risorse finanziarie del Piano nazionale di ripresa e resilienza, nonché del Piano nazionale di investimenti complementari, del Giubileo universale della Chiesa cattolica del 2025, dell'organizzazione e dello svolgimento dei giochi olimpici e paraolimpici invernali Milano-Cortina 2026, della programmazione delle infrastrutture strategiche e prioritarie». Si tratta «di centinaia di miliardi» da tenere sotto controllo assieme all’«evoluzione dei sistemi economici e finanziari in chiave globale, con il crescente utilizzo delle cripto-attività, tra cui le valute virtuali, l'estensione del digital banking, della fintech, della finanza decentralizzata, della disintermediazione del mercato dei capitali». Tutti fenomeno seguiti dai consorzi criminali «con l'evidente finalità di moltiplicare i loro profitti e sottrarli alle contromisure apprestate dagli ordinamenti giuridici». Il terreno da recuperare non è poco e la sfida è enorme se si pensa a quanti modi le mafie hanno a disposizione per far sparire i miliardi che sarebbero entrati nella loro orbita grazie ai bonus.