Il boss Domenico Paviglianiti, ergastolano e pluriomicida, torna in libertà per un patto di estradizione violato fra Italia e Spagna. È una storia che può apparire paradossale, ma è quanto ha deciso, leggi alla mano, il gip di Bologna scarcerando un uomo accusato di sette delitti e tre tentati omicidi solo nella guerra in cui si affrontarono i clan Trovato-Flachi e Batti. Tutto nasce, come riporta oggi il Corriere della Sera, da una parola data dall’Italia alla Spagna di non infliggere l’ergastolo, pena non contemplata nell’ordinamento spangnolo, almeno fino al 2015, quando fu reintrodotta.

Chi è Paviglianiti

Come detto, Domenico Paviglianiti è un boss sanguinario che ha sul groppone una quantità di anni di carcere pari a 168. L’uomo è stato ricercato per associazione mafiosa e traffico di droga e bazooka, nonché coinvolto nel  1990 nell’assassinio a Tradate (Varese) del figlio del capo della Nuova camorra organizzata, Raffaele Cutolo (all’interno di uno scambio di favore con la ‘ndrangheta). Paviglianiti viene catturato in Spagna il 21 novembre del 1996 ed estradato il 17 dicembre 1999 in Italia.

Le condizioni dell’estradizione

C’è però una condizione che l’Italia deve rispettare: non gli deve essere inflitta una «carcerazione a vita indefettibile». Come detto, dunque, in Spagna, all’epoca dell’estradizione, non era prevista la pena del “carcere a vita”. Ed il 14 marzo del 2006, il ministero della Giustizia italiano si impegna a garantire che l’ergastolo «non implica che i condannati debbano comunque restare detenuti in carcere per tutta la vita». Com’è noto, infatti, possono usufruire di permessi premio, della semilibertà o della liberazione condizionale.

La decisione della procura generale

Una volta estradato in Italia, però, Paviglianiti ha una prima sorpresa. La procura generale di Reggio Calabria, infatti, il 12 luglio del 2012, fa scattare una norma che applica l’ergastolo a chi abbia più di due condanne superiori a 24 anni. Nel caso di Paviglianiti esse sono 4 a 30 anni di galera. Ma c’è un ulteriore aspetto da rimarcare. Nei confronti del boss viene applicato anche il cosiddetto “ergastolo ostativo”, utilizzato per i reati previsti dall’articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario. Esso, dunque, non prevede alcun tipo di beneficio per i detenuti. L’unica concessione fu un’uscita di due ore per far visita alla madre deceduta.

Il gip lo scarcera

Non erano questi gli accordi con la Spagna. Paviglianiti, secondo il patto siglato con gli iberici, avrebbe dovuto avere altro trattamento. Lo fanno presente gli avvocati del boss, Mirna Raschi e Marina Silvia Mori. La Cassazione affida al gip di Bologna il compito di sbrogliare un caso giuridico complesso, fissando un incidente di esecuzione. Sono serviti ben dieci mesi al giudice Gianluca Petragnani Gelosi per evidenziare come «le modalità detentive dopo l’applicazione dell’ergastolo abbiano certamente frustrato le aspettative della Spagna nel momento in cui accordava l’estradizione». Insomma, «è stato violato il principio di buona fede internazionale da parte dello Stato italiano, che alla Spagna doveva dar conto della norma restrittiva dell’articolo 4 bis». Senza considerare che anche la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per l’ergastolo ostativo. L’effetto della decisione del gip è a cascata: se la detenzione massima è 30 anni, e non contando il cumulo materiale delle pene che qui è 168 anni, ne viene fuori come Paviglianiti ne abbia scontati 23. Se ne devono contare 3 e mezzo «fungibili ad altro titolo», 3 anni di indulto, e 1815 giorni di liberazione anticipata. Ecco come Paviglianiti ha superato già la soglia dei 30 anni e, per lui, si sono spalancate le porte del carcere. In uscita. Ed in maniera definitiva.