Nel corso del controesame del collaboratore di giustizia sono stati ripercorsi i rapporti che il pentito aveva col boss di Zungri. L'episodio in cui spaccò la testa a un ragazzo con il calcio di un pistola, il «fedelissimo» Gregorio Niglia e il giorno in cui Luigi Mancuso diede il placet per uccidere l'acerrimo nemico
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Una «mangiata di ‘ndrangheta» sarebbe stata l’occasione in cui il collaboratore di giustizia Emanuele Mancuso – figlio di uno dei vertici dell’omonima cosca, Pantaleone Mancuso detto l’Ingegnere – ha conosciuto per la prima volta Giuseppe Antonio Accorinti, detto Peppone, considerato il feroce boss di Zungri.
«C’era un ragazzo che diceva che aveva amici importanti, più importanti di Accorinti».
Peppone, racconta il collaboratore, propose di prendere un appuntamento con queste persone e di salire a Monte Poro.
Il ragazzo organizza l’incontro e al «bivio di Zungri ci viene a prendere il nipote Angelo, quello scuro», racconta Mancuso nel corso del controesame del processo Maestrale condotto dall’avvocato Antonio Papalia.
La testa spaccata col calcio di una pistola
Il gruppo, prosegue il racconto, non va verso Zungri ma vira in direzione di Tropea. «Appena siamo arrivati, non c’è stata nemmeno mezza parola: Peppone Accorinti ha spaccato il calcio di una pistola in testa al ragazzo. E gli diceva, parlando veloce, “mo lo sparo”, “mo lo ammazzo”, mentre il ragazzo era a terra e io ero terrorizzato». L’episodio è accaduto, per quello che ricorda il collaboratore, prima del 2011.
Quello che Mancuso ricorda bene è che esiste un referto medico, che quel giovane è poi partito per «Milano, poi viene arrestato per droga. Si apre un bar… questi sono i dati certi».
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I rapporti per droga con Accorinti e con Niglia
«I rapporti per droga inizialmente non li ho avuti direttamente con Accorinti – racconta Emanuele Mancuso rispondendo alle domande dell’avvocato Papalia – ma con Gregorio Niglia. Io sono andato da Peppone Accorinti, a casa sua, a dirgli se poteva gentilmente dire a Gregorio di darmi la droga a credito e lui disse di sì».
Per questioni di droga, Emanuele Mancuso racconta di avere incontrato Accorinti solo in quella occasione «perché mi ha dato l’ok. Però tutto il resto l’ho fatto con Gregorio».
Anche riguardo una festa a Spilinga Mancuso racconta di avere incontrato Gregorio Niglia con gli albanesi, «non c’era Peppone».
Emanuele Mancuso definisce Niglia un «fedelissimo» di Accorinti e spiega di averlo incontrato a casa di Peppone.
«Gregorio Niglia andava a Polsi con Accorinti?», chiede il difensore.
«Con mio fratello ci andava. Poi non so se ci andava pure con lui…», risponde Mancuso.
Michele Galati e le viste a Limbadi
Michele Galati, ha raccontato il collaboratore, andava sempre a casa del ramo della cosca Mancuso detto Mbrogghja, cugini dello stesso Emanuele Mancuso. «Lui ci andava sempre – dice –. A Limbadi ci andava sempre con un furgoncino bianco scappottato. Però io agli incontri non c’ero mai. Andava da Ascone, da tutti i miei parenti».
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Gregorio Niglia e la latitanza di Peppone Accorinti
Emanuele Mancuso ha poi raccontato che Peppone Accorinti, nei periodi di latitanza, che sarebbe stata gestita da Gregorio Niglia «unitamente a tutti gli altri», per non farsi trovare «cambiava sempre posto. Stava sia a Filandari, sia nelle campagne di Zungri, stava a Montecatini» e Niglia «era un fedelissimo che gestiva tutto per conto di Accorinti».
Emanuele Mancuso spiega di avere appreso queste informazioni perché «io mi vedevo con tutti, con Niglia, con Accorinti, con Angelo, quello scuro, nipote di Accorinti, mi vedevo con Galati». Secondo il collaboratore, l’irreperibilità «la gestivano loro».
Gli avvertimenti di Ascone
Mancuso ha anche dichiarato, nel corso delle scorse udienze, circa il fatto che Salvatore Ascone, ritenuto intraneo alla cosca Mancuso, avesse raccomandato al giovane Mancuso di stare attento a Peppone Acconti altrimenti gli avrebbe fatto fare la fine del padre del suo amico, riferendosi a Roberto Soriano, «macinato con al fresa del trattore».
L’occasione in cui glielo chiese fu in un momento in cui il discorso verteva «su dei miei atteggiamenti che dovevano sempre essere in linea con quelli di Luigi Mancuso (zio di Emanuele, considerato al vertice della ‘ndrangheta vibonese e non solo, ndr). Ascone dal 2014 alla data del mio arresto è stato come un padre per me, mi dava avvertimenti e consigli su come rapportami sia con la droga che con i criminali del Vibonese, visto che lui aveva una profonda conoscenza di tutte le dinamiche criminali, non solo del Vibonese ma anche del Reggino.
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«Leone Soriano voleva uccidere Accorinti e Accorinti voleva uccidere Soriano»
Emanuele Mancuso riferisce inoltre che nel gennaio/febbraio 2018 Luigi Mancuso diede il suo placet a Peppone Accorinti per uccidere Leone Soriano. «Non ero presente all’autorizzazione di Luigi – dice – ma lo ha detto a me Accorinti direttamente nell’occasione in cui io ero andato da lui per un altro motivo. Lui mi abbracciò, mi disse “vieni con me”». E, mentre Emanuele Mancuso gli parlava del problema che lo aveva portato da Accorinti, questi «faceva finta di non sentire e mi parlava sempre di sto Leone: “Mo Luigi mi ha detto che me la posso vedere io. Così me lo tolgo dai piedi”. Erano cane e gatto: Leone voleva uccidere Accorinti e Accorinti voleva uccidere Leone Soriano».