Al momento si tratta di indiscrezioni, ma fonti parlamentari danno la cosa per certa. Il ministero della Giustizia sta lavorando ad una stretta sulle scarcerazioni, con provvedimento atteso per giovedì, dopo oltre quaranta detenuti accusati di reati di mafia finiti ai domiciliari perché statisticamente - anche in assenza di concreto pericolo di contagio - inseriti fra i “soggetti a rischio” in caso di Covid19.

«Valutiamo il coinvolgimento di Dna e Dda»

A far trapelare la cosa era stato lo stesso ministro Alfonso Bonafede che su facebook aveva annunciato che «d'accordo col presidente della Commissione Antimafia, Nicola Morra, siamo pronti a intervenire a livello normativo. Alcune delle proposte verranno inserite nel prossimo decreto legge». Inclusa, a quanto pare, da più parti sollecitata, quella «mira a coinvolgere la Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo e le Direzioni distrettuali antimafia e antiterrorismo in tutte le decisioni relative ad istanze di scarcerazione di condannati per reati di mafia».

Nel frattempo anche Cutolo spera

Oggi è attesa la decisione sulle sorti del patriarca della camorra, Raffaele Cutolo. Perché se la fase 2 fin troppo lentamente arriva per la gente comune, con un maggiore dinamismo per le attività produttive, per alcuni nelle carceri sembra quasi che l’emergenza non sia mai finita. E la processione di detenuti per mafia che passano ai domiciliari continua, con nomi che in Calabria fanno rumore.

I boss calabresi andati ai domiciliari

Fra gli altri, nelle ultime settimane sono tornati a casa o da parenti il mammasantissima di Melicucco, Rocco Santo Filippone, accusato di essere il mandante degli omicidi Fava e Garofalo con cui la ‘ndrangheta ha firmato la propria partecipazione alla strategia stragista, il boss di Lamezia Vincenzino Iannazzo condannato in appello a 14 anni e mezzo di carcere, il sequestratore di Alessandra Sgarella, Domenico Perre e uno fra i più noti (e recidivi) narcobroker dei clan, Francesco Ventrici.

In dieci regioni e nella provincia di Bolzano carceri a zero contagi

Eppure il Garante dei detenuti è stato estremamente chiaro: non c’è alcuna endemica diffusione di contagi nelle carceri italiane. Anzi – ha fatto sapere con una nota «sono dieci le regioni in cui non si registra alcun caso di positività (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Lazio, Liguria, Marche, Molise, Puglia, Sardegna, Sicilia), oltre che nella Provincia autonoma di Bolzano». Nelle altre, che per altro «coincidono con quelle in cui è maggiormente estesa la pandemia, come il Piemonte, il Veneto e la Lombardia - e in alcuni specifici Istituti, come quelli di Torino e di Verona» i casi sono 138, relativi a «specifici focolai» i cui valori «si sono stabilizzati» dunque sono già stati isolati.

«No segnali di resa»

Informazioni che evidentemente non hanno circolato più di tanto se è vero che nelle ultime settimane si è sgranato un rosario di scarcerazioni. Troppe e troppo pericolose ha segnalato il procuratore capo della Dna, Federico Cafiero de Raho. «I mafiosi sono tali perché attentano alla nostra democrazia e alle nostre istituzioni. Fare ritornare un capo mandamento a casa, come è accaduto, ha un significato quasi di resa agli occhi dell'opinione pubblica, è qualcosa di deflagrante. Per i mafiosi andare ai domiciliari è come essere liberi».

L’allarme di Cafiero de Raho

Un imperativo categorico – ha sottolineato Cafiero de Raho – che non pregiudichi né il diritto alla salute dei detenuti, né anni lotta ai clan. «Bisogna curarli, assicurare loro tutte le protezioni – ha spiegato il procuratore in un’intervista a Repubblica - Ma rimandarli nelle loro abitazioni, seppur agli arresti, significa riconsegnare un pezzo di Paese alla criminalità organizzata. E, dunque, alla disperazione. Alla povertà. Far tornare i mafiosi a casa non significa aprire soltanto un'emergenza criminale. Ma accendere una bomba sociale. Economica».

Scaricabarile, polemiche e circolari

Un allarme che arriva a bubbone già esploso e a giallo politico in corso. Se è vero che i benefici per i detenuti con meno di 18 mesi da scontare, approvati con il Cura Italia a una settimana dalle rivolte nelle carceri per affrontare il problema del sovraffollamento negli istituti di pena, escludono i condannati per mafia e gravi reati, le scarcerazioni di detenuti per mafia ci sono state comunque. Così come c’è una circolare del Dap, difesa dal dipartimento come un semplice «monitoraggio», che ha chiesto ai direttori di vari istituti di pena di individuare “i soggetti a rischio” per età o una serie di patologie, per poi trasmettere la comunicazione all’autorità giudiziaria «per le valutazioni di competenza». Tutti, senza distinzione. Né per tipo di condanna, né per tipo di circuito detentivo in cui sono inseriti. In lista finiscono anche i boss al 41bis, che – se le prescrizioni vengono rispettate – vivono in una sorta di quarantena naturale.

Il caso Bonura

Ma anche loro iniziano ad uscire. Il primo è il boss palermitano Francesco Bonura. E scoppia il caso. Il Dap si difende, scaricando la decisione sul tribunale di sorveglianza di Milano, che difende le proprie valutazioni in ragione di criteri sanitari. Ma chi li abbia fissati e con che grado di discrezionalità nella valutazione non è dato sapere, tanto meno se quella circolare del Dap – spedita il 21 marzo e firmata dal direttore generale Giulio Romano – sia stata di iniziativa propria o il dipartimento si sia mosso su precise indicazioni. Il ministero della Giustizia ha annunciato ispezioni e provvedimenti, che magari aiuteranno a ricostruire la filiera delle responsabilità. Tuttavia, che quella circolare fosse tutto meno che neutra, sembra dimostrarlo la decisione del Tribunale di sorveglianza di Milano che ha negato i domiciliari a Nitto Santapaola.

Santapaola resta in carcere, ma a chiedere di farlo uscire non è stato l’avvocato

«È ristretto in regime di 41bis o.p. e quindi in celle singole e con tutte le limitazioni del predetto regime che lo proteggono dal rischio di contagio» hanno messo nero su bianco i magistrati. A sollecitarne la valutazione però non è stato il legale del superboss di Cosa Nostra, l’avvocato Lorenzo Gatto. A far arrivare sul tavolo dei giudici la relazione sulle condizioni di salute di Santapaola è stato il direttore del carcere di Opera, che dopo aver ricevuto la circolare del Dap si è attivato per i relativi approfondimenti.

Antimafia in rivolta mentre scoppia un nuovo caso

Contro la processione di boss, generali e colonnelli dei clan che rischiaro di tornare a casa, insorgono magistrati in prima linea nella lotta ai clan dai consiglieri togati del Csm Sebastiano Ardita e Nino Di Matteo al procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri, tuonano contro le scarcerazioni e movimenti e associazioni antimafia come Libera e Agende Rosse. E nel frattempo scoppia un nuovo caso. Va ai domiciliari, Giuseppe Zagaria, il fratello di don Michele, uno dei capi del clan di Casal di Principe.

Dap ancora una volta nella bufera

Motivo? Ha avuto un problema oncologico e deve «sottoporsi al follow-up diagnostico e terapeutico» ma il penitenziario di Sassari, dove è detenuto al 41bis, è diventato un centro Covid. Inutilmente, scrive il giudice nel provvedimento, sarebbe stato «chiesto al Dap se fosse possibile individuare altra struttura, ma non è pervenuta alcuna risposta». E ancora una volta il Dipartimento nega, con il suo capo, Francesco Basentini che si giustifica «il Dap non può curarsi della salute dei detenuti» e che «la valutazione sanitaria non dipende da personale del Dap». E ancora una volta il ministero annuncia ispezioni, mentre da più parti – incluso nella maggioranza – si inizia a reclamare a gran voce un cambio al vertice del Dipartimento. Ma a quanto pare, nulla è previsto che succeda fino alla metà della settimana. Nel frattempo, boss come Cutolo, potrebbero tornare a casa.