«Bisogna fare in fretta, ma c’è il pericolo che i soldi vadano in mano alle mafie, certamente». Lo dice a Sky Tg24 il procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri, riferendosi alla possibilità che la criminalità organizzata si infiltri nei meccanismi di distribuzione degli aiuti economici legati all'emergenza coronavirus.

 

«Per questo, per quanto riguarda i lavoratori in nero, ho parlato con l’Anci, e per lo meno l’Anci calabrese è d’accordo. Consegneranno gli elenchi ai prefetti, che li distribuiranno alle forze dell’ordine che li visioneranno per evitare che evasori totali, gente ricca che sulla carta risulta nullatenente, incassi questi soldi», aggiunge.

Per quanto riguarda le aziende, «è necessario anche in questo caso questo tipo di controllo. Noi abbiamo le forze dell’ordine che sul territorio hanno un controllo capillare, abbastanza diffuso. Possiamo utilizzare questa grande conoscenza per interagire con chi deve distribuire questi soldi, con chi va a fare gli elenchi per vedere chi ha bisogno e chi no», ribadisce Gratteri.

«In paesi di 5000 abitanti, di cui a esempio è piena la Calabria o la Sicilia, a una stazione dei carabinieri bastano 48 o 24 ore per controllare - esemplifica il procuratore capo - non si ritarda di molto, al massimo di 48 ore. In paesi più grandi ci sono le Compagnie, la Guardia di Finanza, la Questura. È più il parlare che il fare. Intanto mandate questi soldi, nel contempo mandate questi elenchi alla prefettura e in 48 ore si è in grado di stabilire chi è evasore totale e avrebbe la possibilità. Sarebbe una grande occasione di controllo, per far emergere il lavoro nero, finirla con questo sfruttamento che dura da secoli. Questo è un momento importante, consideriamolo uno spartiacque, però è ovvio che per fare queste cose ci vuole volontà, coraggio, libertà, non è una cosa semplice. Sono molto vicino alle persone che hanno bisogno e ai poveri, soffro quando li vedo. Ma nello stesso tempo mi arrabbio perché non è possibile che nel 2020 ancora succedano questi sfruttamenti, ma soprattutto perché non incominciamo a discutere anche il mercato. Non è possibile – conclude - che le arance della Calabria vengano pagate trenta centesimi e poi al mercato di Milano costino due euro e cinquanta».