Sia in primo che in secondo grado un giovane si era visto condannare per coltivazione ai fini di spaccio. Di diverso avviso la suprema Corte che ha disposto l’annullamento senza rinvio
Tutti gli articoli di Cronaca
PHOTO
La Corte di Cassazione ha annullato senza rinvio la sentenza con la quale la Corte di Appello di Catanzaro, nel dicembre 2024, aveva condannato N.S. per la detenzione e la coltivazione ai fini di spaccio di sostanza stupefacente.
La vicenda risale al luglio 2019, quando l'imputato veniva tratto in arresto in flagranza, perché trovato in possesso di 2,14 grammi di marijuana. Nella sua abitazione, a seguito di perquisizione, venivano rinvenute dieci piantine di cannabis, in diverso stadio di crescita e maturazione.
Il Gup del Tribunale di Catanzaro condannava l'imputato, ritenendo che tanto la detenzione quanto la coltivazione fossero finalizzate ad un uso commerciale. Di medesimo avviso la Corte d'Appello, che confermava il giudizio di colpevolezza di N.S. concentrando in particolare la propria attenzione sulle piantine rinvenute in casa, mentre assolveva l'imputato per la detenzione dell'involucro contenente la marijuana essiccata, in quanto condotta compatibile con il consumo personale.
Nonostante la “doppia conforme” di condanna, l'imputato ha deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione. Ieri, all'esito del giudizio di legittimità, la Suprema Corte ha annullato senza rinvio la decisione di appello, con la formula “perché il fatto non costituisce reato”.
Proprio in tal senso aveva concluso anche la Procura Generale, parlando di «scarni elementi esposti dall’organo giudicante, non idonei ad escludere la natura domestica della coltivazione». Sulla fattispecie di coltivazione domestica sono intervenute, nel 2020, anche le sezioni unite della Cassazione, per tracciare la linea di confine tra rilevanza ed irrilevanza penale del fatto. Insegnamento dal quale i Supremi Giudici hanno oggi ritenuto che la Corte catanzarese si sia allontanata.