Solo l’ex sindaco di Riace, Mimmo Lucano, in Calabria commenta le notizie rimbalzate sull’asse Foggia-Roma, ribadendo l’accusa politica di sempre al prefetto Di Bari reo di aver «distrutto il modello». All’indomani delle dimissioni del Capo dipartimento Immigrazione del Viminale, per il coinvolgimento della moglie in una indagine - a piede libero - contro il caporalato in Puglia, la rassegna stampa nazionale dedica grande spazio alla notizia e l’ex primo cittadino, intervistato da Il Manifesto, non infierisce ma ricorda.

«Umanamente mi dispiace per la moglie – afferma Lucano – ma le mie critiche sono sempre state e sempre saranno politiche». Nell’articolo si fa riferimento alla «misteriosa scomparsa» di una delle 4 relazioni ispettive ordinate da Di Bari quando era prefetto di Reggio Calabria. Un caso nel caso che, sebbene non abbia evitato la condanna in primo grado – effetto di quelle ispezioni – i sostenitori delle politiche dell’accoglienza utilizzano in queste ore per rinnovare la critica al servitore dello Stato che si è dovuto dimettere.

Per lui Matteo Salvini e Giorgia Meloni sono arrivati a chiedere le dimissioni del ministro dell’Interno Luciana Lamorgese, paradosso politico visto che fu proprio il leader leghista a promuovere Di Bari.

È unanime la convinzione, infatti, che a fargli prendere il volo per Roma – nel maggio del 2019 – fu il servizio svolto per l’abbattimento della baraccopoli di San Ferdinando, di due mesi prima.

Una operazione che altri prima di lui non avevano autorizzato, perché troppo rischiosa, e che Di Bari coordinò in forza dell’avallo politico salviniano, che, assetato di riflettori mediatici, certamente non servì a risolvere il problema abitativo.
Che, anzi, si amplificò con la costruzione di un’altra tendopoli, rendendo carta straccia il protocollo voluto dal suo predecessore – il prefetto Sammartino – che puntava al superamento di un modello buono solo per amplificare disumanità, come si sta vedendo in questi giorni vista la riformazione di un vero e proprio ghetto.