VIDEO | L'inchiesta, come spiegato in conferenza stampa, ha preso il via dalle denunce di alcuni imprenditori taglieggiati e da quella di un'anziana disperata nel vedere il nipote divorato dagli stupefacenti (ASCOLTA L'AUDIO)
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Il duplice filone di inchiesta condotto sull'alto Tirreno cosentino dalle compagnie carabinieri di Paola e Scalea, poi confluito nel fascicolo d'indagine della Direzione distrettuale antimafia, da cui è scaturita l'odierna operazione Katarion, ha preso il via dalle denunce di alcuni imprenditori taglieggiati e da quella di una nonna di Cetraro, disperata nel vedere il nipote divorato dalla droga.
I numeri dell'operazione
Nel complesso gli indagati sono 44, per 33 è scattata una misura cautelare. In particolare in dieci sono finiti in carcere, altri otto ai domiciliari. Per quindici invece è scattato l'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. I particolari sono stati resi noti a Cosenza nel corso di una conferenza stampa presieduta dal procuratore della Repubblica di Catanzaro, Nicola Gratteri, alla quale hanno partecipato tra gli altri l'aggiunto Vincenzo Capomolla, il comandante provinciale dei carabinieri Piero Sutera, del nucleo operativo Raffaele Giovinazzo e della compagnia di Paola Giordano Tognoni.
La cosca Muto che si riorganizza
Sullo sfondo la potente cosca Muto di Cetraro alla quale lo Stato aveva già inflitto un duro colpo con le condanne del processo Frontiera: «Questa organizzazione criminale dedita soprattutto al traffico di stupefacenti, serviva anche a mantenere i detenuti - dice Gratteri ai giornalisti - Per questo è sempre importante riuscire a sterilizzare il carcere rispetto al mantenimento dei rapporti con l'ambiente esterno». Sulla capacità della consorteria di riorganizzarsi il Procuratore spiega: «Nell'ambito di un procedimento ovviamente non si riesce a dimostrare la responsabilità penale di tutti i soggetti coinvolti. Anche oggi, nonostante il numero cospicuo di misure cautelari eseguite, sicuramente ci saranno persone rimaste al di fuori del perimetro dell'indagine che adesso cercheranno di appropriarsi degli spazi lasciati liberi dagli arrestati. Sta alla cosiddetta società civile riuscire ad impedirlo, prendendo possesso di questi spazi».
La novità del bunker
Per le attività di cattura sono stati impiegati militari del comando provinciale di Cosenza con il supporto dello squadrone eliportato Cacciatori di Calabria, del 14mo battaglione e del nucleo carabinieri cinofili di Vibo Valentia. La copertura aerea è stata garantita dall'ottavo nucleo elicotteri carabinieri. Uno degli arrestati è stato individuato all'interno di un bunker ricavato nella propria abitazione di Cetraro. Sono in corso ulteriori indagini per verificare se tale nascondiglio fosse stato in precedenza utilizzato per coprire la latitanza di soggetti ricercati.
I capi di imputazione
68 nel complesso i capi di imputazione contestati. L'associazione a delinquere finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti è quello centrale. Vi sono poi la detenzione illegale di armi da fuoco ed episodi di estorsione tentata e consumata. In almeno tre casi è stata sventata grazie alle denunce delle vittime che non si sono piegate alle richieste, aggravate dal metodo mafioso, preferendo rivolgersi alle forze dell'ordine.
Le denunce degli imprenditori
Nel dettaglio gli investigatori hanno riferito della denuncia di un imprenditore operante nel settore edile al quale era stato chiesto di farsi da parte nelle attività di pulizia e manutenzione di un villaggio turistico di San Nicola Arcella, allo scopo di far subentrare nelle attività una ditta in combutta con la cosca con cui avrebbe spartito i proventi. Altri due tentativi di estorsione riguardano un negozio di articoli sportivi di Belvedere Marittimo ed un'attività di allevamento di bestiame di Scalea. In entrambi i casi i malavitosi avevano avanzato copiose richieste di denaro.
Droga a fiumi dalla locride
Ma il business principale, come detto, derivava dal traffico di stupefacenti, cocaina soprattutto. Con l'ausilio di una capillare rete di pusher, l'organizzazione poteva coprire agevolmente tutte le piazze di spaccio dei centri dell'alto Tirreno cosentino, soprattutto Cetraro, Diamante, Belvedere Marittimo, Guardia Piemontese, Buonvicino, Scalea. Documentati dai carabinieri circa 250 episodi di cessione della droga. La cocaina giungeva a fiumi da un broker del reggino per il quale il nome dei Muto era una garanzia. Durante la fase investigativa i carabinieri hanno proceduto anche a due sequestri da un chilo di droga ciascuno in prossimità di Lamezia Terme, a carico dei corrieri che portavano la sostanza illecita dalla locride verso Cetraro.