La macchina organizzativa del Governo si è messa in moto per individuare le strutture che ospiteranno i dodici Centri di permanenza per i rimpatri (Cpr) decisi dal Consiglio dei ministri. Le prefetture e l’esercito stanno analizzando una serie di possibilità nell’immenso patrimonio immobiliare del ministero della Difesa, e di quello civile, per individuare edifici, fra ex caserme e aree industriali, da inserire nella lista da consegnare a fine novembre al Covi (Comando operativo di vertice interforze) che trasformerà complessi in disuso in Cpr da affiancare ai nove già esistenti.

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Naturalmente nella selezione delle strutture devono essere seguite alcune indicazioni fornite dal Governo: lontane dai centri urbani, perimetrabili, facilmente controllabili. Meglio se vicine a un aeroporto per favorire i rimpatri rapidi. Tutti questi indizi in Calabria portano in una direzione molto precisa: Crotone.

È alla periferia della città, a due passi dall’aeroporto, che il Governo è alla caccia di uno stabile adatto allo scopo. Fra l’altro la città pitagorica era già nell’elenco redatto dall’allora ministro degli Interni, il calabrese Marco Minniti, che aveva previsto 20 strutture da 100 posti. Una per regione.

Quel che è certo è che il presidente della giunta regionale, Roberto Occhiuto, non si opporrà alle scelte del Governo che continua ad avallare nelle sue ultime dichiarazioni. Il perché della necessità di aprire i Cpr, Occhiuto lo spiega in due modi. Il primo è che gli enti locali devono essere consequenziali. Parla di doppia morale, il forzista, quando si accusa l’Europa di essere distratta rispetto al fenomeno e poi si fanno le barricate sui territori. Il secondo motivo è che le regioni rivierasche, che più di tutte subiscono l’arrivo dei migranti come Calabria e Sicilia, hanno il diritto di alleggerire la pressione che il fenomeno migratorio si porta con sé.

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Non tutti i governatori la pensano così, ma la sensazione è che si tratta della solita polemica all’italiana, senza troppo succo. Il Governo, infatti, sul punto è stato chiaro. Vero che il ministro Piantedosi dice che ci sarà un dialogo con i territori, ma fino alla curva. Come previsto nel dl Sud pubblicato in Gazzetta ufficiale, i Cpr sono fra le «opere destinate alla difesa nazionale a fini determinati» e potranno essere realizzati con procedure «in caso di somma urgenza e di protezione civile» previste dal nuovo Codice degli appalti. Insomma con o senza il favore dei governatori questi centri verranno realizzati. Fra l’altro questa dell’immigrazione è competenza statale sulla quale non si capisce a che titolo gli amministratori regionali intervengano.

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Il problema riguarda piuttosto l’utilità di questi centri dove il periodo di detenzione è stato esteso anche a 18 mesi. I dati dicono che solo il 10% dei migranti che arrivano in Italia hanno diritto a una protezione. L’altro dato dice che in Italia arriveranno nei prossimi mesi circa 200mila persone. Incrociando i due numeri si capisce subito a quale sforzo immane saranno chiamati questi centri. In più bisogna sempre considerare che non con tutti i paesi l’Italia ha accordi bilaterali sui rimpatri, il che complica ancora di più le cose. Ma Occhiuto non si scompone: «È vero - ha detto - che ci può essere il rischio che i Cpr facciano fatica sul fronte dei rimpatri, ma senza di loro quello che è un rischio diventa una certezza». Vedremo se e quando questi centri, finora solo annunciati, verranno realizzati e se riusciranno in parte nello scopo.