La Fenice rinasce, ma il fuoco che l’ha colpita ha lasciato segni profondi. La società legata al marchio di Chiara Ferragni si è salvata dalla procedura fallimentare grazie a un aumento di capitale da 6,4 milioni di euro, approvato nel corso dell’assemblea dei soci. 

Una manovra necessaria per arginare il crollo finanziario seguito allo scandalo Pandorogate, che ha travolto l’immagine dell’imprenditrice e messo in ginocchio la sua azienda. Fenice, che nel 2023 vantava ricavi per 12 milioni di euro, ha visto il proprio fatturato precipitare sotto i 2 milioni nel 2024, accumulando perdite per circa 10 milioni. 

Senza una ricapitalizzazione immediata, la società sarebbe stata costretta a portare i libri in tribunale. La decisione è stata presa con il voto favorevole di Sisterhood, la holding con cui Ferragni controlla il 32,5% di Fenice, e di Alchimia, la società di Paolo Barletta che detiene il 40%. Un patto di
maggioranza che ha permesso di mettere in sicurezza l’azienda e garantire la continuità operativa, ma non tutti i soci hanno accolto positivamente la manovra

Pasquale Morgese, titolare del 27,5%, si è opposto e ha annunciato l’intenzione di impugnare sia il bilancio che la delibera sull’aumento di
capitale. Il suo rifiuto di partecipare alla sottoscrizione porterà alla diluizione della sua quota, ma il segnale è chiaro: la tensione interna alla società è tutt’altro che risolta.

La frattura tra i soci non è nata con il Pandorogate, ma è esplosa con il crollo finanziario legato alle indagini della Procura di Milano. Morgese accusa Ferragni e gli altri soci di non aver gestito la crisi con trasparenza e di aver condotto l’azienda verso una crisi che poteva essere evitata. 

A gestire l’operazione di salvataggio è stato Claudio Calabi, nominato amministratore unico dopo il terremoto giudiziario che ha colpito l’influencer e la sua società. È stato lui a proporre l’aumento di capitale, trovando il sostegno di Sisterhood e Alchimia, disposte a coprire anche la quota non sottoscritta da Morgese.

La vicenda ha origine nel 2022, quando la collaborazione tra Chiara Ferragni e Balocco per il lancio dei Pandori “Pink Christmas” si è trasformata in un boomerang. La comunicazione dell’operazione benefica si è rivelata poco chiara e l’Antitrust ha sanzionato l’operazione come pratica commerciale scorretta. Il Codacons ha presentato una denuncia per truffa aggravata, alimentando il clamore mediatico e gettando ombre sulla gestione dell’operazione.

Il caso si è poi allargato alle uova di Pasqua griffate Dolci Preziosi, aumentando la pressione sulle attività della Ferragni e spingendo la magistratura ad approfondire la questione.

Nel 2024 l’imprenditrice è stata rinviata a giudizio e la società ha subito il sequestro di conti e indagini fiscali. Nonostante il tentativo di riparare all’errore con un accordo con i consumatori per risarcire il danno d’immagine, Fenice ha subito un tracollo.

Il marchio, che fino a pochi anni fa rappresentava un modello di business perfettamente costruito, ha perso valore, trascinando con sé i ricavi e mettendo in crisi la struttura finanziaria dell’azienda. Il crollo della fiducia da parte dei consumatori e la difficoltà nel riposizionarsi sul mercato hanno portato alla necessità di un’operazione di salvataggio immediata.

L’aumento di capitale permetterà di coprire le perdite accumulate nel biennio 2023-2024, ma non basterà da solo a rilanciare Fenice. Il brand dovrà trovare un nuovo equilibrio, ricostruire la propria immagine e riconquistare la fiducia dei clienti e degli investitori

Nel frattempo, la guerra tra soci continua a consumarsi, e la battaglia legale annunciata da Morgese potrebbe complicare ulteriormente il futuro della società. Il salvataggio è avvenuto, ma le ombre sul domani di Fenice
non si sono ancora dissipate.