«See, il ponte. Ma quando mai, tutta scena». Non sembrano fare molta paura gli echi romani di puntuale “ritorno” sul ponte sullo Stretto: a Cannitello, spiaggetta preziosa tra la montagna e il mare alla periferia di Villa San Giovanni, quasi nessuno fa caso ai proclami del nuovo governo. Eppure è proprio in questo pezzetto di terra, nel punto più vicino tra Calabria e Sicilia, che dovrebbe essere tirato su uno dei piloni su cui dovrebbe poggiare l’opera.

Un mastodonte alto quasi 400 metri che cancellerebbe buona parte del lungomare. Complici la giornata di festa e il clima primaverile di questo strano autunno, sono in tanti a godersi questo affaccio privilegiato sullo Stretto. Ma nessuno sembra preoccuparsi troppo dell’annunciato vertice tra Salvini, Schifani e Occhiuto previsto per la settimana prossima.

Non è neanche questione di favorevoli o contrari: proprio si fa fatica a crederci. Tira di più l’attesa per il Monday night di serie B tra Reggina e Genoa. «Ma figuratevi se fanno il ponte – dice un anziano a passeggio sul lungomare con la faccia di chi ne ha già sentite tante – non ci sono riusciti nemmeno quando hanno fatto la posa della prima pietra, non lo faranno neanche adesso».

Sotto il pilone

Storico esponente del movimento “No ponte”, Aldo Boccaccio è il proprietario di un ristorante proprio a ridosso della spiaggia di Cannitello. Il suo locale si trova nell’angolo nord del cantiere previsto dal progetto definitivo ed è tra quelli compresi nelle particelle che dovrebbero essere espropriate in vista del fantomatico cantiere: «Ma di ufficiale ancora non sappiamo niente, solo voci». Neanche lui sembra particolarmente preoccupato da questo nuovo impulso a costruire targato Salvini. Tanto che all’interno del suo locale proseguono i lavori di ristrutturazione in attesa della riapertura.

«Tutto teatro. Ci sono mille motivi che mi fanno stare relativamente tranquillo sulla fattività del progetto. Motivi legati a limiti strutturali che non risultano superati. È vero che in questo momento esiste una convergenza politica tra Governo nazionale e governi regionali, ma da qui ad un vero passo avanti verso la costruzione del ponte, ce ne vuole». Immaginata per decenni, l’idea del collegamento fisso tra la Sicilia e il Continente si ripresenta puntuale ad ogni nuovo governo, o quasi.

Nonostante la società “Stretto di Messina”, costituita ad hoc nel 1981 con il sigillo del governo Craxi e costata nel frattempo ai contribuenti oltre 300 milioni di euro, sia stata messa formalmente in liquidazione nel 2013 dal governo Monti. «Per come la vedo io, prima ci proviamo il vestito e solo dopo ci mettiamo il cappello – dice ancora Boccaccio – io non sono contrario a tutti i costi alla costruzione del ponte, ma così come stanno le cose non avrebbe senso costruirlo. Servono interventi strutturali su ferrovia e porti. Facessero quelli prima».

Il fuoco sotto la cenere

Passati gli anni delle manifestazioni oceaniche della rete No Ponte, sulle due sponde dello Stretto i movimenti contrari alla costruzione della mega opera riorganizzano le fila. Ma neanche loro ci credono molto a questa nuova accelerazione sui lavori.

«Certo i partiti politici di governo hanno investito molto su questo aspetto in campagna elettorale – dice Gino Sturniolo, voce storica del movimento no ponte sulla sponda messinese dello Stretto – e devono fare qualcosa per riattivare l’iter per la costruzione. Ma non credo che ci sia un rischio imminente di ripresa dei lavori. Mi preoccupa di più il fronte favorevole al ponte, che negli anni si è allargato parecchio tra gli stessi messinesi, che sono passati dal votare uno come Accorinti che della battaglia no ponte ne aveva fatto addirittura una divisa, a De Luca che è tra i massimi promotori della struttura. Nei prossimi giorni ci incontreremo per riorganizzarci, il tempo c’è».

Più o meno quello che si pensa sul versante calabrese. Anche a Reggio si è scelto di aspettare l’evolversi degli eventi: «È presto per pensare a qualche tipo di manifestazione – dice Nuccio Barillà, ex assessore nella giunta di Italo Falcomatà e voce importante del fronte del no – bisogna prima capire cosa hanno intenzione di fare. Il progetto definitivo, così come lo conosciamo non ha senso: non va bene per i treni, non si ripagherebbe mai con i pedaggi e sarebbe scomodissimo per i pendolari, che tra svincoli e varianti ci metterebbero molto più tempo per attraversare lo stretto di quanto ci impiegano adesso. Vediamo cosa succederà nelle prossime settimane, noi siamo pronti, ci siamo sempre. Siamo come il fuoco sotto la cenere».

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