Riceviamo e pubblichiamo una lettera di una donna residente nel Reggino che da anni ormai è costretta a combattere contro la Sla, malattia degenerativa che la costringe a passare la sua vita su un letto. Sabina si rivolge al governatore della Calabria Roberto Occhiuto chiedendo l’assistenza sanitari domiciliare.

Di seguito la lettera integrale: «Mi chiamo Sabina Jonela, ho 39 anni, vivo in Italia da una ventina di anni. Sono sposata con Sergio, infermiere professionale presso l’ospedale di Polistena. Vivo con mio marito a Taurianova, cittadina molto conosciuta della piana di Gioia Tauro. Pochi invece conoscono la Sla, malattia degenerativa con la quale convivo da oltre 4 anni. È una malattia invalidante che blocca i muscoli, che a loro volta bloccano ogni atto quotidiano. Sono dunque ferma, immobilizzata, non posso fare nulla dei normali atti quotidiani. Mi tengono in vita le cure, che ricevo costantemente da mio marito e dalle mie ragazze. Mi riferisco alle operatrici che tutti i giorni vengono a casa mia, mi assistono, mi curano, mi vogliono bene.

La malattia ha immobilizzato i miei muscoli ma non la facoltà di pensare, sognare, desiderare. Quali sono i miei sogni? Sono pochi, semplici: io voglio vivere malgrado tutto, voglio lottare contro questo mostro restando a casa mia, dove posso vedere mio marito tutti i giorni e dove posso accogliere mio figlio quando torna a casa da Ferrara, dove sta studiando scienze biomediche. Non vivo di sogni irrealizzabili. Vivo di piccoli sogni. Non parlo di piccoli piaceri quotidiani. Una passeggiata al mare, una pizza, un gelato, un caffè al bar. Tutti vecchi ricordi lontani per me, sogni irrealizzabili.

Vivo in un appartamento carino, moderno, dove i dispositivi medici indispensabili per la mia malattia si confondono con i colori delle tende, dei quadri, con la luce che entra dalle finestre, con il profumo delle lenticchie o del pranzo che tutti i giorni le mie ragazze mi preparano amorevolmente.
Insomma, mio malgrado sono serena, penso, sogno, vivo. Sogno di vedere mio figlio, 19 anni, laurearsi.
Sono orgogliosa di lui e dell’aiuto che riesco a dargli. Lo mantengo agli studi con 600 euro mensili. Dei dispositivi medici non manca nulla, grazie agli innumerevoli e quotidiani sforzi profusi da mio marito. Mio marito ha provveduto dunque a tutto, dal letto ospedaliero alla Niv, dal puntatore oculare al mezzo per disabili. L’elenco di ciò che serve nella convivenza con questo mostro è infinito ma a me non manca nulla. Ho cure, attenzioni, affetto. Posso ancora sentire il gusto del cibo. Contrariamente a quanto suggerito dai medici, ho rifiutato la Peg. Ci pensano le mie ragazze a darmi da mangiare. Lo fanno con pazienza e devozione. La mia casa ha insomma tutti i “comfort”, ma ha solo un difetto: è al terzo piano.

Per me uscire è ormai quasi impossibile. Esco solo per andare in visita a Mistretta, all’istituto Maugeri, dove il dott. Volante, lo specialista che segue la mia malattia, mi riempie sempre di speranza. É per tale motivazione che, usufruendo dei miei risparmi che avevo messo da parte per il figlio, mio marito ha acquistato un monolocale al primo piano. Devo purtroppo aggiungere che non ho riscontrato molta vicinanza da parte degli uffici della Regione, alla quale ho scritto. Tantomeno le istituzioni, come ad esempio la Prefettura, hanno mai risposto alle mie accorate e insistenti richieste inviate – tramite Pec – da parte di mio marito. Per non parlare del mondo delle associazioni, di cui ho riscontrato silenzi e mancanza di partecipazione.

Per questo motivo mi permetto di scrivere direttamente a voi, che vi seguo, per la sensibilità che vi contraddistingue.
E a voi chiedo: perché tutto questo? Perché gli ammalati di Sla debbono avere un trattamento diverso?
Come mai non sono stati istituiti dei fondi? D’altra parte, alla luce di taluni dati, sembra che la Calabria sia il fanalino di coda per quanto concerne la complessa problematica assistenziale riguardante questa specifica patologia.

Sì, sono serena e lo sarei di più se non fosse per un pensiero che ogni tanto balza fuori con la falce puntata: ho paura. Non della morte. No, io ho paura di perdere l’affetto e la serenità che solo la mia casa mi dà. Ho paura di svegliarmi un giorno nella stanza fredda di una struttura per malati di Sla, in una stanza dove anche i profumi e i colori della mia casa diventerebbero un sogno lontano. Lasciatemi lo spazio per l’ennesimo appello. Ora sono io a esprimere le mie esigenze, non mio marito. Aiutatemi a realizzare il mio piccolo sogno: aumento di ore, sussidi, contributi, chi mi legge sa che cosa può e che cosa deve fare per me e per la mia malattia. Aiutatemi a scacciare via dalla mia mente l’ombra incombente della struttura, solo la parola sa di morte. Non chiedo niente: voglio potermi solo svegliare tutte le mattine tra i colori, i profumi, la luce, l’amore, la serenità e le cure di casa mia. Se questo non è possibile, allora lasciatemi morire serenamente».