Il  percorso iniziato non può e non deve incontrare ostacoli, né può essere arrestato;  sarebbe un gravissimo danno per la città di Catanzaro e per l’intera Calabria, che, ancora una volta, si vedrebbero private di una reale integrazione tra il sistema sanitario regionale e l’Università che,  a sua volta, dovrà cogliere l’occasione di porsi al servizio della Calabria e dei calabresi.


Sulla scorta di tale premessa, ancora maggiori sono le preoccupazioni e le perplessità circa le procedure e gli atti che si stanno adottando nel corso del processo di integrazione. Si ha l’impressione che si voglia costruire qualcosa omettendo, o forse volutamente trascurando, l’atavica questione dell’opportunità o meno della costruzione di un nuovo ospedale a Catanzaro. Ritengo che non si possa parlare di integrazione senza prima affrontare e risolvere tale problematica, al precipuo fine di chiarire il ruolo dell’Ospedale Pugliese. Non ho remore nell’affermare con convinzione che un nuovo ospedale, collocato fuori dalla cerchia urbana, non appare come la soluzione migliore, per molteplici motivi, più volte da noi evidenziati in tutte le sedi, che oggi trovano piena condivisione da parte  di altri soggetti politici e della società civile.
Accanto ad un’incisiva opera di potenziamento, anche strutturale, del presidio ospedaliero “Ciaccio” e di rimodulazione dell’attuale ospedale civile “A. Pugliese” nelle specifiche funzioni di pronto soccorso, urgenza-emergenza e modulo chirurgico, dovrebbe trovare collocazione un nuovo padiglione per le scienze mediche, da edificare tra le aree urbane su cui già insistono i due nosocomi, sì da trasformare Catanzaro in una vera e propria “città della salute”.

 


Sono note le obiezioni che gli oppositori di questo programma potrebbero muovere, in primis in ordine alla non conformità del “Pugliese” agli attuali standard di sicurezza ed anti-sismici. Pur trattandosi di questioni squisitamente tecniche da sviscerare nelle opportune sedi, ciò che è certo è che, se così fosse, allora  non sarà possibile alcuna rimodulazione di quell’edificio, neanche verso altra destinazione ad uso pubblico e lo storico ospedale di Catanzaro, come già successo per il suo predecessore, rimarrà in piedi, vuoto ed inutilizzato, come uno dei tanti monumenti ad imperitura memoria, ormai testimoni dello spopolamento e della “desertificazione” della nostra città.

 


A questo punto bisogna operare una scelta definitiva e risolutiva, con l’intervento di tutti i soggetti preposti a decidere le sorti della sanità catanzarese e calabrese, non potendosi demandare una decisione così strategica ed importante all’esclusiva determinazione del Commissario ad acta, a meno che nel decreto della sua nomina non sia anche contemplata la funzione di Sindaco della città di Catanzaro. Tale determinazione spetta alla politica comunale, mediante interazione con il governo, regionale e nazionale, con il Commissario ad acta che, trattandosi di sanità, dovrà entrare, per quanto di sua competenza, nel merito della questione.
Ritengo allarmante e preoccupante quanto accaduto durante la precedente riunione del “presunto” tavolo paritetico. Affidare ad una votazione scelte strategiche per il futuro della nostra sanità non è accettabile; le decisioni necessitano di concertazione, confronto, dialogo e soprattutto capacità di mediazione.
Come poteva avere esito diverso la votazione se su quel tavolo era evidente la disparità di presenze tra l’Azienda “Mater Domini” e l’Azienda “Pugliese-Ciaccio” e coloro i quali avrebbero dovuto essere garanti della pari dignità erano palesemente contro le posizioni del Pugliese? Probabilmente va subito rivista la composizione di questo tavolo paritetico e riportare la problematica ai soggetti istituzionalmente preposti: L’Università “Magna Graecia” di Catanzaro e la Regione Calabria con la sua rappresentanza politica, con il Dipartimento della salute e con la stessa struttura commissariale, in quanto non dimentichiamo che la Calabria è regione sottoposta a piano di rientro e commissariata nel settore della sanità. Dialogare e confrontarsi tutti insieme non può essere inteso come lesa maestà.
Così si riporterebbe alla responsabilità di chi la deve  avere la scelta del processo di fusione tra le due aziende; le quali, se chiamate in causa in modo attivo, vista la “distanza” che li separa, difficilmente possono trovare strade condivise ed una sintesi, anzi, nella loro interlocuzione, si esaspera ancor più la conflittualità e le separazioni. Alle strutture manageriali delle due aziende spetterà il compito successivo di dare attuazione alle decisioni assunte dal tavolo strutturato nel modo suddetto.
Ci auguriamo che, su questi presupposti, ognuno dia il proprio contributo per la agognata integrazione delle due aziende sanitarie e per la costruzione di una sanità di eccellenza al servizio e nella piena fruibilità dei cittadini. Riteniamo al momento di non dover entrare nel merito specifico delle decisioni, altrimenti noi stessi faremmo una invasione di campo; tuttavia sarà nostro dovere continuare  a seguire le vicende della sanità nella città di Catanzaro ed in Calabria.