Far conoscere le famiglie che hanno donato gli organi di un proprio caro con i riceventi. A conferma dei passi in avanti fatti, Massimo Cardillo, direttore generale del Centro nazionale trapianto, l’istituzione più importante in Italia nel campo dei trapianti, ha annunciato il suo sostegno al cambiamento della legge. Il professionista, nei giorni scorsi, ha ribadito il punto di vista del Cnt in una email inviata a Reg Green, il papà di Nicholas. Il piccolo, 7 anni, venne ucciso durante un tentativo di rapina lungo l’autostrada Salerno-Reggio Calabria nel 1994. I suoi organi furono donati a sette italiani. Ad oggi, tuttavia, ribadisce Reg Green: «La legge italiana di fatto impedisce alle due parti di contattarsi, persino tramite messaggi anonimi. La norma è stata emanata nel 1999 per proteggere la privacy della persone ma tra le sue conseguenze non volute c’è che le famiglie dei donatori non possono sapere neanche se le persone a cui hanno salvato la vita siano ancora vive».

La vicenda di Nicholas Green

Parole dettate dalla terribile vicenda che sconvolse la famiglia Green con la perdita del loro bambino: «Molti sentono un vuoto nelle proprie vite e alcuni soffrono di un dolore psicologico cronico per questo. E’ una ricompensa crudele per chi nel momento peggiore della propria vita ha messo da parte il dolore per aiutare persone che erano in punto di morte e che non avevano mai conosciuto. Anche molti riceventi sono turbati perché impossibilitati a ringraziare coloro che li hanno aiutati nel momento in cui senza un trapianto sarebbero morti», aggiunge Reg. Un iter lento ma che avanza: «Tre anni fa – spiega il papà di Nicholas -  quando ho dato inizio ad una campagna per cambiare la legge con una sola persona ad aiutarmi, Andrea Scarabelli, di Roma, il compito sembrava impossibile. Vedevamo noi stessi come Don Chisciotte e Sancho Panza. Ma la campagna nel tempo ha toccato il cuore degli Italiani, come mostrato nell’articolo che ho scritto con il dottor Carlo Petrini, direttore dell’Unità di Bioetica all’Istituto superiore di Sanità, e pubblicato dal numero attuale del Giornale italiano di nefrologia». Nel settembre 2018, infatti, il Comitato nazionale di Bioetica ha parlato della possibilità di creare un’eccezione all’obbligo dell’anonimato qualora entrambe le parti si dicano d’accordo e abbiano firmato un appropriato modulo di consenso informato. Per il Cnb «qualsiasi contatto tra famiglia del donatore e ricevente deve essere mediato da un organismo esterno, facente riferimento al Servizio sanitario nazionale, creato per garantire un rigoroso controllo sulle manifestazioni del consenso al fine di evitare qualsiasi rischio di comportamento inappropriato».

I passi in avanti del Comitato di bioetica

I dettagli sono stati specificati dal dottor Cardillo: «Questo servizio ha il compito di dare alle famiglie alcune informazioni (anonime) sul risultato dei trapianti eseguiti, e di offrire alle stesse l’assistenza necessaria nel processo di elaborazione del lutto; il servizio valuta anche le eventuali richieste, che possono provenire dalle famiglie o dai riceventi, di invio di lettere o messaggi, sempre anonimi, e coordina questi scambi». I risultati sono stati apprezzati: «Sono certo che, in alcuni casi selezionati, la comunicazione tra familiari e riceventi potrebbe essere portata anche oltre, anche arrivando al contatto diretto, con beneficio di entrambe le parti, come tante esperienze hanno dimostrato. Però, per fare questo, come indicato dal Cnb, sono necessari alcuni importanti cambiamenti». A partire dalla modifica della legge da parte del Parlamento poiché al momento è vietata ogni deroga al principio dell’anonimato: «Il secondo – spiega il medico - è l’individuazione di una competente autorità sanitaria chiamata a vagliare eventuali richieste di incontro». L’impegno e l’attenzione, rimangono alti.

 

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