Lo Shockwave torna a far parlare di sé e regala un altro primato al Sant’ Anna Hospital di Catanzaro. Per la prima volta in Italia, infatti, l’innovativa metodica che sfrutta degli impulsi simili a quelli utilizzati per il trattamento dei calcoli renali è stata applicata per il trattamento di una stenosi (restringimento) a livello dei tronchi sovraortici. Sempre al Sant’Anna, il mese scorso, per la prima volta in Calabria e per la seconda in Italia, lo Shockwave era stato utilizzato con successo nel distretto coronarico.

 

«L’arteria che abbiamo trattato – spiega Placido Grillo, cardiologo interventista dell’équipe diretta dal dottor Bindo Missiroli – è la cosiddetta “Anonima”, che garantisce l’afflusso di sangue alla parte destra del cervello, del cervelletto e al braccio destro attraverso l’arteria succlavia. Il caso si presentava particolarmente difficile perché la placca calcifica responsabile della stenosi coinvolgeva in maniera circonferenziale l’intera arteria; per cui l’utilizzo di un pallone convenzionale non ci avrebbe consentito di disgregarla e soprattutto avrebbe presentato il rischio della rottura dell’arteria stessa o, peggio ancora, dell’aorta ascendente. L’alternativa sarebbe stata un intervento chirurgico tradizionale per l’applicazione di un by-pass. Quindi una procedura invasiva, con intubazione profonda e con un rischio elevato per il cervello, in una donna quasi ottantenne che però difficilmente avrebbe potuto reggere quel tipo di intervento. Da qui, la decisione di offrire alla paziente l’opzione dello Shockwave».

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«La metodica applicata a quel distretto – continua Grillo – non aveva precedenti a causa dei rischi legati al clampaggio (chiusura, ndr) dell’arteria Anonima per il tempo necessario all’uso del pallone che indebolisce la placca attraverso gli impulsi. Pochi secondi necessari ma durante i quali il cervello non riceve sangue. Da questo punto di vista, lo Shockwave in modalità periferica non era applicabile per via dei cicli di ultrasuoni più lunghi e di un pallone di dimensioni maggiori, mentre la modalità coronarica con cicli più brevi e più rapidi e un pallone di dimensioni ridotte era impedita dalla massa calcifica presente in arteria. L’uso combinato di entrambi ci ha però consentito di ottenere comunque il risultato. In modalità periferica, infatti, abbiamo pre dilatato il vaso e successivamente, in modalità coronarica indebolito la placca che, successivamente ha ceduto. Subito dopo il trattamento con pallone, è stato applicato lo stent senza nessun problema e la procedura è diventata a quel punto una procedura percutanea convenzionale. L’intervento è perfettamente riuscito e la paziente è stata dimessa dopo un paio di giorni. Siamo soddisfatti – ha concluso Grillo – non solo per il risultato e per essere stati i primi in Italia ad ottenerlo ma anche per avere ampliato significativamente il ventaglio di risposte da offrire ai pazienti».