Diagnosi e terapie

L’impatto delle malattie gastroenterologiche in pediatria, parola all’esperta: «Il 60% dei bambini manifesta sintomi»

VIDEO | Nella nostra rubrica Tg Salute, la pediatra Licia Pensabene ha illustrato l’attività di ricerca del gruppo della Gastroenterologia pediatrica universitaria di Catanzaro

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di Redazione Attualità
30 giugno 2024
13:55

Licia Pensabene è professore associato di Pediatria all’Università Magna Graecia di Catanzaro. Fa parte dell'Unità operativa complessa di Pediatria specialistica e Malattie rare dell'Azienda ospedaliero universitaria Dulbecco di Catanzaro, Dipartimento di Scienze mediche e chirurgiche, diretto dal professor Arturo Pujia. Ha maturato specifica esperienza nel settore della gastroenterologia pediatrica, effettuando periodi di formazione e lavorando inizialmente nel Centro di motilità gastrointestinale del Children’s Hospital di Pittsburgh, negli Usa, e successivamente anche nel Children’s Hospital & Harvard Medical School di Boston.

Dopo un'esperienza anche in Inghilterra, allo Sheffield Children’s Hospital, dal 2016 è professore associato in Pediatria alla Magna Graecia di Catanzaro ed è attualmente (dal 2022) coordinatore dell’area di Neuro-gastroenterologia e Malattie acido correlate della Sigenp (Società italiana di gastroenterologia, epatologia e nutrizione pediatrica). Nel corso della consueta rubrica Tg Salute, in onda ogni lunedì nel corso del telegiornale di LaC Tv, a cura di Rossella Galati, la specialista ha illustrato l’attività di ricerca del gruppo della Gastroenterologia pediatrica universitaria, che afferisce al Dipartimento di scienze mediche e chirurgiche, principalmente focalizzata sullo studio dei meccanismi patogenetici e delle strategie terapeutiche innovative per il trattamento di malattie gastroenterologiche pediatriche.


Qual è l’impatto delle malattie gastroenterologiche in pediatria?
«Il 60% circa dei bambini (range 46%-89%) manifestano almeno un sintomo gastrointestinale a settimana e le patologie di pertinenza gastroenterologica rappresentano la più frequente richiesta di intervento specialistico pediatrico e, conseguentemente, di accessi ambulatoriali, di accessi in DH, e, nei casi più gravi di ricoveri in degenza ordinaria. Più del 50% di questi accessi sono da ricondurre a Disturbi Funzionali Gastrointestinali (DFGIs, oggi noti come disordini dell’interazione intestino-cervello, DGBI) che nella maggior parte dei casi necessitano di approccio conservativo con follow-up clinico e trattamento di tipo cognitivo-comportamentale, con l’adesione a stili di vita adeguati dopo valutazione e interventi specialistici multidisciplinari. Tuttavia, tali disordini, se persistenti o cronicizzati, anche nel bambino altrimenti sano, possono alterare la qualità di vita, determinando molta ansia ed apprensione nell’ambito familiare, e richieste di ulteriori visite specialistiche». 

Qual è l’ambito di ricerca del vostro gruppo?
«L'attività del nostro gruppo di ricerca - spiega - , prevalentemente nell’ambito dell’Area di neurogastroenterologia e malattie acido-correlate, che attualmente coordino in ambito SIGENP (Società Italiana di Gastroenterologia, Epatologia e Nutrizione Pediatrica), è stata da sempre focalizzata alla comprensione dell'interazione tra il sistema nervoso e il tratto gastrointestinale, del cosiddetto asse intestino-cervello, anzi dell’asse intestino-cervello-microbiota intestinale data la recente scoperta del ruolo centrale della componente microbiotica, cioè dell’insieme dei microrganismi che convivono con noi, di cui oggi tanto si sente parlare. Comprendere questi meccanismi di interazione può portare a nuove strategie di diagnosi e trattamento per queste malattie gastrointestinali, in particolare per i disordini della motilità gastrointestinale (GI) che hanno un significativo impatto sulla salute, essendo stati riscontrati in condizioni estremamente frequenti, come i disordini dell’asse intestino cervello, quali ad esempio il reflusso gastroesofageo e la sindrome dell’intestino irritabile».

«Abbiamo anche cercato di individuare nuovi approcci terapeutici per le malattie infiammatorie croniche intestinali - prosegue la Pensabene -, come ad esempio l’associazione dell’allopurinolo con basse dosi di tiopurina, rispetto alla split-dose  di tiopurina , o la terapia con  carbossimaltasi ferrica per l’anemia nelle IBD, ricerche fatte in collaborazione con i colleghi del Great Ormond Street Hospital, di Londra, UK dove ho avuto l’opportunità di lavorare recentemente. Inoltre con studi di farmacogenomica abbiamo cercato di identificare varianti geniche dei geni ADME coinvolti nel metabolismo dei farmaci eventualmente correlate con differenti fenotipi e/o risposte al trattamento, identificando ad esempio varianti genetiche associate a differente risposta alla terapia enzimatica sostitutiva nei pazienti con Malattia di Fabry, e più recentemente, associate a differente risposta agli inibitori di pompa protonica ( PPI) in pazienti affetti da esofagite eosinofila».

Ci vuole dire qualcosa in più su questi studi che avete effettuato presso la vostra unità?
«Presso la pediatria universitaria abbiamo condotto negli anni una serie di studi volti all’identificazione dei fattori di vita precoci coinvolti nella patogenesi dei disordini gastrointestinali funzionali, quali ad esempio il dolore addominale funzionale. Si tratta di un argomento estremamente interessante, direi affascinante, che si basa sulla scoperta che il nostro destino clinico non dipende solo dal nostro bagaglio genetico, dal nostro DNA, ma da tutta una serie di fattori che interferiscono modulando la trascrizione dei nostri geni, decidendo così il nostro futuro, il nostro destino di salute o di malattia, agendo sulla composizione del nostro microbiota intestinale. Ma la cosa più interessante è che esiste un periodo nell’infanzia, che va dal concepimento alla fine dei primi 2 anni, i cosiddetti “primi 1000 giorni di vita”, in cui il nostro microbiota intestinale è caratterizzato da una elevata plasticità,  cioè è particolarmente vulnerabile e facilmente soggetto all’azione di fattori che ne possono modificare la composizione, in senso favorevole, la cosiddetta eubiosi, o sfavorevole, la cosiddetta disbiosi, quest’ultima alla base della patogenesi di molti disordini, quali ad esempio quelli del neurosviluppo, così come quelli funzionali GI. L’identificazione di questi fattori in grado di modulare il microbiota intestinale consente infatti di poter mettere in atto delle strategie di prevenzione, agendo in quel “periodo di vulnerabilità” di cui abbiamo parlato, i primi 1000 giorni di vita, che rappresentano in realtà una “finestra di opportunità” nella quale agire per tempo, in modo da “riprogrammare” il nostro destino clinico, indipendentemente dal nostro bagaglio genetico. Ed è proprio in questo ambito che abbiamo focalizzato i nostri sforzi di ricerca clinica. Ad esempio, abbiamo identificato alcuni di questi fattori, quali il basso peso alla nascita, la prematurità, l’abuso di antibiotici, le infezioni gastrointestinali, dando il nostro contributo sostanziale nell’identificare i cosiddetti DFGI post-infettivi anche in età pediatrica, ed i fattori di rischio associati».

«Inoltre abbiamo recentemente concluso in collaborazione con colleghi di altri tre centri  Italiani e molti altri in Europa, una ricerca internazionale dal titolo “Dieta e Disordini Funzionali Gastrointestinali in Europa e nel Bacino Mediterraneo” che è stata supportata finanziariamente da un Grant dell’ESPGHAN, Società Europea di Gastroenterologia, Epatologia e Nutrizione Pediatrica; tale ricerca  ha evidenziato come una maggiore aderenza alla dieta mediterranea sia associata ad un effetto positivo di riduzione della prevalenza di questi DFGI, dimostrando come si possa agire attivamente, in questo caso con una dieta sana, modificando così il nostro destino clinico, indipendentemente dalla predisposizione genetica. Stiamo inoltre conducendo e coordinando uno studio multicentrico prospettico europeo sulla prevalenza dei fenotipi di Malattia da reflusso gastroesofagea non erosiva in età pediatrica, nel quale sono coinvolti molti centri italiani ed europei. Nei bambini con malattia da reflusso non erosiva, cioè con endoscopia negativa per erosioni, è oggi possibile individuare 3 distinti sottogruppi: (a)  malattia da reflusso non erosiva, (b) ipersensibilità al reflusso, e (c)  e pirosi funzionale».

 «Un appropriato inquadramento dei pazienti in questi sottogruppi ha importanti implicazioni terapeutiche, poiché i pazienti di ciascun sottogruppo potrebbero rispondere diversamente agli interventi terapeutici.  Nel precedente studio retrospettivo multicentrico europeo, che abbiamo condotto, avevamo dimostrato come il fenotipo più frequente di malattia da reflusso gastroesofagea non erosiva in età pediatrica sembrerebbe essere la pirosi funzionale, che non necessita di prolungate terapie con inibitori di pompa protonica, che sono troppo spesso prescritti in maniera inappropriata pur non essendo scevri da effetti collaterali anche importanti, ma che potrebbe invece beneficiare di trattamenti con neuromodulatori. Per tale ragione abbiano avviato lo studio multicentrico prospettico di cui parlavamo, tuttora in corso ed i cui risultati sono destinati a cambiare drasticamente il nostro approccio terapeutico a queste condizioni molto frequenti in età pediatrica».

Pertanto, il gruppo di gastroenterologia della pediatria universitaria grazie alla esperienza ed alle collaborazioni internazionali, ed ai vari progetti ultimati e tuttora in corso, ha sviluppato notevole expertise in questo campo. «Noi crediamo fermamente che tutte queste attività potranno consentire una maggiore conoscenza dei fattori coinvolti nella patogenesi di questi disordini gastrointestinali molto frequenti e spesso invalidanti, consentendone un approccio preventivo, con strategie di riprogrammazione, laddove possibili, o una più adeguata gestione terapeutica. L’importante attività di ricerca del gruppo di gastroenterologia della pediatria universitaria è testimoniata dalle numerose pubblicazioni internazionali su riviste molto quotate». 

 

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