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Morire a 21 anni. All’improvviso, senza un perché che non sia in un destino incomprensibile. Morire a 21 anni, eppure continuare a vivere in altre 5 persone, che invece restano, lottano e amano con il tuo cuore, respirano con i tuoi polmoni, guardano con i tuoi occhi.
La vita di Letizia Senese, spezzata nel 2005 da un aneurisma cerebrale mentre era in vacanza nella casa al mare dei genitori a Fiumefreddo, in provincia di Cosenza, non è finita in quel tragico giorno di luglio, ma continua in chi ha ricevuto i suoi organi. Una storia emblematica, perché mostra le due facce della stessa medaglia: il dolore di chi subisce la perdita e la gioia di chi riceve in dono la speranza di poter continuare ad andare avanti.
Una vicenda che è diventata la bandiera di una famiglia annichilita dagli eventi ma che da allora ha sposato con convinzione la causa della donazione degli organi, collaborando attivamente con l’Aido e con il Centro calabrese trapianti, diretto da Pellegrino Mancini. Una scelta di solidarietà dettata anche dalla volontà di contrastare l’immenso senso di spreco che la morte di un figlio porta con sé.
«Sembra crudele dirlo, ma quando una famiglia nega l’assenso all’espianto degli organi di un proprio caro lo fa per egoismo - spiega il padre di Letizia, Sebastiano Senese (in foto) -, nell’illusione che quel rifiuto possa cambiare le cose. Invece, quando arriva dai medici la richiesta vuol dire che è davvero finita. Opporsi alla donazione degli organi significa dire No alla vita di altre persone. A che serve?». Non sarebbe certo servito a sua figlia, che studiava Lettere e Filosofia all’Università di Bologna ed era tornata a casa per l’estate.
La storia
«Eravamo nella casa al mare - ricorda Senese -, avevamo appena finito di pranzare e Letizia aspettava delle amiche con le quali avrebbe dovuto andare a fare compere in vista di un viaggio che era in programma per agosto. I suoi amici arrivarono a casa e chiesero di lei. La chiamammo ma non rispondeva e credemmo che stesse ascoltando musica con le cuffie. Andammo a cercarla al piano di sopra e la trovammo riversa sul pavimento, priva di conoscenza».
Aveva subito la rottura improvvisa e imprevedibile di un vaso sanguigno nel cervello. Era ancora viva ma la gravità delle sue condizioni erano già evidenti. La corsa in pronto soccorso e poi il trasferimento nell’ospedale di Catanzaro, dove per 5 giorni rimase in rianimazione. Infine, l’epilogo più drammatico, con la morte cerebrale e la richiesta dei medici per essere autorizzati all’espianto degli organi.
«Abbiamo detto Sì - continua Senese - anche se non avevamo mai parlato con Letizia di questo argomento, ma conoscendola, sapendo che persona altruista e buona fosse, sono convinto che anche lei avrebbe dato il suo consenso se avesse potuto».
Sedimentato il dolore e diradatesi le nebbie della disperazione più cupa, Senese si è impegnato con grande convinzione nelle campagne di sensibilizzazione a favore della donazione degli organi, questione che in Calabria sconta un grave deficit di attenzione da parte dell’opinione pubblica.
Sensibilizzare alla donazione
«I più sensibili a questo tema sono i giovani - afferma Senese -, mentre le vecchie generazioni hanno maggiori riserve. Quando partecipo a iniziative come la giornata nazionale dell’altruismo promossa dall’Aido, mi colpisce il timore delle persone che cerchiamo di avvicinare, magari per consegnargli semplicemente un volantino. Qualcuno scappa via, altri si girano dall’altra parte, come se accettare quel foglietto illustrativo significhi firmare per la propria condanna a morte. Invece è il contrario: dimostrarsi sensibili verso questi temi significa parteggiare per la vita».
Una “vita” che, in casi eccezionali, puoi abbracciare. Come è capitato a Senese quando ha incontrato alcune persone che avevano ricevuto gli organi della figlia, in particolare il cuore e i reni.
«Ho avuto questa fortuna - conclude - e l’emozione che ho provato insieme al resto della mia famiglia è stata indescrivibile. So che Letizia non c’è più e che quelle persone non sono lei. Ma guardare negli occhi chi oggi vive con i suoi organi rende un po’ più sopportabile la sua assenza».
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