Luoghi sospesi e un fascino senza tempo. Viaggio nella frazione di Zungri, nel Vibonese
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Lascio il pensiero riposare, apro la portiera della macchina, inserisco la chiave, aggancio la cintura, accendo, tolgo il freno a mano e inserisco la prima.
Mi attendono sette chilometri di tornanti, alberi d’ulivo, calanchi e poi un semaforo rosso con uno sfondo azzurro che stimola lo sguardo.
Imbocco la statale 106 direzione Catanzaro – Taranto e inizia il viaggio che mi porterà a Papaglionti nel comune di Zungri, in provincia di Vibo Valentia.
Soffia un vento freddo e non appena apro leggermente il finestrino, i brividi si attaccano al grigio abitacolo oramai stanco.
Il sole va e viene, gioca a nascondino e si dissolve, mentre i miei occhi indossano una lucida stanchezza.
Devo andare, i ruderi attendono un nuovo passo silenzioso e stanco del vociare inutile e pseudo ribelle.
Mi fa compagnia chi vive la mia identica solitudine, che appare l'unico rifugio in un mondo soffocato dal suo egocentrico vivere.
I luoghi sospesi apparentemente vuoti, diventano nuovi compagni di pietra, piegati dal tempo e amati dalla natura, instancabile madre.
Mi fermo ad un distributore di benzina nelle vicinanze di Zungri a pochi chilometri da Papaglionti, la mia meta, il mio odierno punto di arrivo.
Faccio il pieno e poi entro in un bar.
Chiedo di poter usare il bagno, subito dopo mi soffermo per bere un caffè e prendere una bottiglietta d’acqua.
L’aria gelida mi costringe a trovare riparo in macchina.
Metto in moto e riprendo il viaggio verso Papaglionti.
Una musica di pianoforte sveglia il mio pensiero intorpidito.
In aperta campagna percorro una strada stretta e cementata, mi fermo, spengo il motore.
Mi accoglie una paesaggio verde, immerso negli ulivi.
Le case guardano il cielo e la natura le abbraccia.
Le consola per quel passato perduto, che un tempo conteneva calore, disperazione e speranza.
A piedi, riesco finalmente a pensare, a respirare.
I rami bucano le mura delle case e formano una galleria trasparente.
Il muschio verde rende umido e scivoloso il mio incedere.
Lo sguardo si perde sui balconi sospesi e le porte aperte ti invitano ad entrare in una cattedrale delle assenze: buia e illuminata dai ricordi sparsi per terra come l’anima di un corpo, che continua a vagare e a vivere a modo suo.
Rimango immobile innanzi ad una casa, dove rami e tronchi di legno vivo hanno occupato una stanza, ridando speranza e vita.
La stessa vita germoglia nelle radici di un giovane albero seduto accanto al focolare oramai spento.
Continuo a camminare e il cuore batte forte, respiro in piena armonia con Papaglionti, che non è solo un paese.
Sento le voci, ascolto canti antichi e versi in vernacolo da un balcone aperto, che appare in tutta la sua vecchia bellezza.
Anche qui i rami riempiono gli spazi e a modo loro li fanno rivivere.
Il sole si fa largo tra le nuvole donando luce e sollievo.
Il cielo azzurro amplifica la bellezza di un luogo suggestivo.
Ho sete e bevo un po’ d’acqua: persa in una bottiglietta di plastica estranea, fuori posto.
Ancora una volta il suono del pianoforte e un arco di pietra che sorregge un balcone.
Mi fermo innanzi ad un rudere ingoiato dal cielo azzurro e dal verde selvaggio, che assume le movenze di un anziano a cui il tempo ha rubato i capelli in cambio di rughe: solchi profondi che raccontano la sua vita.
Lo vedo seduto con un coltello in mano e un pezzo di pane e formaggio.
Una voce nel vento mi racconta la fine di questo paese ai piedi del monte Poro: la forte pioggia, che ha sotterrato cuori e speranze.
Le pietre sporche di sangue e sudore ricordano le calamità del passato, mentre il bosco su per la collina custodisce il segreto di Trisulina in una grotta interrata.
Il mio corpo continua a peregrinare nel paese di San Pantaleone.
Raggiungo una chiesa smidollata, a lui dedicata.
La immagino vista dal cielo, vuota, colma di natura, che resiste al tempo, orgogliosa nella sua facciata in mattoni.
Lascia la porta spalancata al visitatore, sconvolto nel vedere la ricca povertà di un luogo: dipinta dalla vita e dalla solitudine.
Decido a malincuore di interrompere questa sospensione dell’anima e di andare via.
Porto sotto le mie scarpe la sua polvere, la sua voce, i suoi silenzi.
Alle mie spalle suoni antichi sconvolgono il mio arrivederci.