Con la morte del Papa, si chiude un capitolo importante anche dal punto di vista della comunicazione. Perché, al di là del suo ruolo spirituale, è stato uno dei comunicatori più efficaci del nostro tempo.

Ciò che colpiva della sua comunicazione era la semplicità. Non banalità, ma chiarezza. Francesco ha sempre scelto parole accessibili, dirette, comprensibili da chiunque. Una scelta precisa, non casuale. Parlare semplice, oggi, è un atto strategico: permette di raggiungere persone diverse, in contesti diversi, senza perdere profondità.

Questa semplicità era accompagnata da una forte coerenza tra ciò che diceva e ciò che faceva. Il suo linguaggio non si fermava alle parole: i gesti, le espressioni, le pause, persino i silenzi – tutto comunicava. Il suo modo di stare al mondo, spesso in ascolto e in silenzio, costruiva un messaggio potente: empatia, prossimità, attenzione all’altro.

Una caratteristica centrale del suo modo di comunicare era la vicinanza. Il Papa non parlava “dall’alto”, ma cercava un contatto orizzontale. Nei discorsi pubblici, negli incontri, nelle interviste, il linguaggio era sempre orientato a ridurre le distanze. Questa scelta ha rafforzato la sua credibilità e il senso di umanità che trasmetteva.

È interessante, a questo punto, il confronto con Benedetto XVI, Papa Ratzinger. La sua comunicazione era molto diversa: fondata sul rigore teologico e sulla profondità intellettuale. Parlava alla ragione, e richiedeva un pubblico disposto ad ascoltare con attenzione. Non cercava l’effetto immediato, ma puntava alla sostanza. La sua era una comunicazione verticale, solida, esigente.

Papa Francesco, invece, ha puntato tutto sulla relazione. Ha usato un linguaggio simbolico, caldo, spesso narrativo. Ha saputo parlare alla coscienza collettiva con parole semplici, ma dense di significato. Non ha mai rinunciato ai contenuti, ma ha scelto una forma più umana, più accessibile, più “vicina”.

Questi due stili, così diversi, dimostrano che non esiste un solo modo efficace di comunicare. L’efficacia nasce dalla coerenza tra chi sei e come scegli di porti. Benedetto ha parlato alla mente. Francesco al cuore. Entrambi hanno lasciato un segno.

Un altro elemento fondamentale della comunicazione di Papa Francesco è stata la sua capacità di parlare al mondo. Non solo ai fedeli, non solo ai credenti, ma al mondo intero, senza mai perdere la sua identità. È una delle sfide più difficili per chi comunica: restare sé stessi, ma aprirsi a tutti.

Francesco ha saputo usare un linguaggio universale, capace di superare barriere culturali, religiose, politiche. Parlava di temi concreti – la pace, la povertà, l’ambiente, la dignità umana – e lo faceva con parole che ogni persona, in qualunque parte del pianeta, poteva riconoscere come autentiche.

Non cercava il consenso, ma il dialogo. Non si rivolgeva solo ai “suoi”, ma a chiunque fosse disposto ad ascoltare. In questo, ha interpretato pienamente il senso più alto della comunicazione: costruire ponti.

Oggi, in un mondo in cui la comunicazione è spesso vanitosa, gridata, costruita per piacere o colpire, il modello di Papa Francesco ci ricorda che per arrivare davvero alle persone serve una “complessa semplicità”. Una forma di comunicazione che nasce dall’ascolto, che sceglie il silenzio quando serve, che si prende cura delle parole perché si prende cura delle persone.

La sua è stata una comunicazione che riduceva le distanze e arrivava dritta al cuore anche di chi non credeva. Un capolavoro di semplicità.

Buona comunicazione a tutti.