Meloni non aveva ancora fatto in tempo a spegnere le polemiche e gli interrogativi sollevati dal caso Fidanza, che già rimane sommersa dalle sue ambiguità. Sulla stessa linea anche il leader del Carroccio (ASCOLTA L'AUDIO)
Tutti gli articoli di Tra virgolette
PHOTO
Le vergognose scene dell’assalto squadrista alla sede nazionale della Cgil ci hanno riportato indietro di un secolo. Alla vigilia dell’avvento del fascismo. Anche allora, l’agonia della libertà e della democrazia iniziò con l’assalto alle Camere del Lavoro, alle redazioni dei giornali e infine alla sede dei partiti politici. I luoghi della libertà di opinione politica e sindacale furono occupati, incendiati e infine sciolti. Nell’agosto del 1922 a Bari successe quello che molto probabilmente rappresenta quasi un unicum nel panorama italiano: la formazione di un ampio fronte di resistenza all’ormai dilagante avanzata dello squadrismo fascista. Si formarono i gruppi di Arditi del popolo, composti anche da comunisti che – tra giugno e agosto – fronteggiarono gli attacchi dei Fasci di combattimento.
Simbolo di memoria
Oggi a piazzetta Sant’Anselmo, nel centro di Bari vecchia, al centro della piazza si trova una lastra della pavimentazione diversa dalle altre, più grande e più liscia, su cui spiccano i nomi dei sindacalisti Giuseppe Di Vittorio, Filippo D’Agostino e Rita Maierotti. Il progetto di questa “pietra d’inciampo” collocata su iniziativa del comune di Bari, Anpi, Anppia, Ipsaic e della Cgil Puglia nel 2012 nel luogo dove sorgeva la Camera del Lavoro, rappresenta il simbolo della memoria, in occasione dei novant’anni dalla sua eroica difesa contro l’attacco dei fascisti.
Giuseppe Di Vittorio, un bracciante semi analfabeta di Cerignola (nel 1902 il padre muore in seguito a malattia contratta nel suo lavoro di curatolo, e lui è costretto ad abbandonare la scuola elementare per essere avviato al lavoro nei campi) che divenne il punto di riferimento degli oppressi di tutto il Sud difese armi alla mano l’assalto squadrista. Di Vittorio, comunista, segretario della Cgil, apprezzato dal sindacalismo internazionale (nel 1953 venne eletto presidente della Federazione Sindacale Mondiale). Una figura mitica. Personalmente, è stato dopo aver letto una sua biografia che mi aveva regalato un professore alle scuole medie che, a 14 anni, decisi di aderire alla Fgci e poi al Pci. La figura di Di Vittorio per me, nipote di braccianti calabresi che nel dopo guerra parteciparono a quello straordinario movimento delle occupazioni dei fondi incolti degli agrari, grazie ai decreti di Fausto Gullo, ha rappresentato e rappresenta un faro.
Gli stessi allarmi di cento anni fa
Nessuno avrebbe immaginato che a distanza di 100 anni di quei drammatici eventi di Bari, ci sarebbe stato nuovamente un’azione squadrista contro una sede del sindacato. Le scene dell’assalto squadrista alla sede della Cgil nazionale dimostrano che è successo. Scene che ci riportano a quel clima di violenza e di odio in cui venivano prese di mira le organizzazioni che difendevano i diritti dei lavoratori. Allora, nel 1922, eravamo alla vigilia del fascismo, un regime che da li a poco soffocò ogni forma di dissenso, trucidò Giacomo Matteotti, sciolse i partiti e inviò al confino e nelle carceri fasciste migliaia di italiani, emanò le leggi razziali, si alleò con Adolfo Hitler, uno dei più grandi carnefici della storia dell’umanità e trascinò il paese in un conflitto che produsse milioni di morti. Basterebbe solo questo, affinché tacessero le bocche di qualsiasi giustificazionista di quel regime. Basterebbe solo questo per rendere inaccettabile ogni ipocrisia della Meloni e di Salvini sul tema del fascismo.
La storia ci detto che gli assalti di 100 anni fa da parte di quelle squadracce avevano dei mandanti: gli agrari e la classe padronale preoccupati dalle battaglie crescenti dei lavoratori in tutto il sud e nel Paese. Furono questi ceti a finanziare Mussolini e il fascismo. La loro responsabilità morale verso quei crimini contro l’umanità è oggettiva. Come una oggettiva responsabilità, va ascritta a quelle forze moderate di allora, che non solo sottovalutarono il fenomeno ma si illusero inizialmente di poterci collaborare. Infatti fino al 1º luglio 1924 il governo Mussolini fu composto oltre che da esponenti fascisti anche da popolari, liberali e nazionalisti. Il risultato è noto.
Attenzione a non sottovalutare
Sallusti sul Giornale ha definito i responsabili dell’assalto alla Cgil una banda di cretini. Sicuramente sarà così. E, tuttavia, questi cretini, criminali e violenti, che ancora si nutrono della simbologia e delle parole d’ordine del nazifascismo, da mesi stanno trasformando le proteste di piazza verso i provvedimenti anti Covid in campi di battaglia. Era già successo relativamente ai decreti di chiusura. Anche in quell’occasione si parlò di cretini. Anche in quell’occasione si tese a ridimensionare il fenomeno. Continuare a tollerare queste aggressioni ai centri nevralgici della democrazia è un attentato al concetto di libertà. Cretini o meno, questa è gente pericolosa e il fenomeno non va sottovalutato. Anche perché in piazza è presente un movimento composto da un mix pericoloso in cui s’incrociano le ignoranze antiscientifiche dei no-vax, con sacche di disagio sociale venute fuori dalla crisi che ha prodotto l’emergenza covid. Aree vulnerabili alla strumentalizzazione e alla infiltrazione delle formazioni neofasciste. Attenzione, quindi, a liquidare tutto come fenomeni di folklore, nessun movimento folcloristico assalta la sede dei sindacati o prende a badilate i giornalisti.
Le ambiguità della destra italiana
Le condanne sono venute da tutte le forze politiche, e tuttavia, le dichiarazioni della leader di FdI e della stessa Lega lasciano ampi margini di ambiguità. Senza dimenticare che, i temi del green pass e dei vaccini sono stati esasperati, sia dall’opposizione della Meloni sia dal movimentismo intra-governativo di Salvini. Una responsabilità politica non di poco conto e che ha rappresentato un magnifico assist alle azioni violente messe in atto dalle orde dei barbari neri di Forza Nuova verso la Cgil, Palazzo Chigi e le strutture sanitarie romane. I temi evocati da Lega e Fdi sui vaccini e sui green pass rendono ambigua la loro natura e la loro collocazione nell’ambito dello scacchiere politico europeo e mondiale. Un problema che, ancor prima della Meloni, dovrà affrontare Matteo Salvini, considerato che si trova nello schieramento che sostiene il governo Draghi.
I segnali che arrivano non sono affatto rassicuranti. Il deputato del Pd, Emanuele Fiano, ha annunciato che sarà presentata una mozione urgente alla Camera per chiedere lo scioglimento di Forza nuova e degli altri movimenti dichiaratamente fascisti, ai sensi della legge Scelba. Sulla stessa lunghezza d’onda il leader della Cgil Landini: «La nostra Costituzione, dice con chiarezza che l’apologia del fascismo è un reato: vanno sciolte tutte le organizzazioni che si richiamano al fascismo». A questa ipotesi Meloni e Salvini rispondono picche. Fine della reazione unitaria delle forze politiche. Un atteggiamento drammaticamente curioso. Infine, sempre il tandem Meloni-Salvini annuncia che non parteciperà alla manifestazione di solidarietà alla Cgil prevista per sabato. Un altro segnale poco edificante.
La garanzie democratiche sono sufficienti?
Giorgia Meloni non aveva ancora fatto in tempo a spegnere le polemiche e gli interrogativi sollevati dal caso Fidanza sulla presunta anima nera in Fdi, che già rimane sommersa da tutta la sua ambiguità: non ce la fa proprio a pronunciare la parola fascismo, e tenta di liquidare quello che è avvenuto come conseguenza dell’azione di quattro imbecilli. Eppure le immagini degli assalti guidati dalla destra fascista di Fiore e Castellino (il primo è una vecchia conoscenza dell’estrema destra italiana) non dovrebbero lasciare margini di dubbio sulla matrice fascista dell’azione squadrista. Ecco, queste ambiguità, rappresentano un paradosso da parte di forze politiche che si candidano a governare il Paese come Fdi e Lega e a tentare di conquistarne la relativa premiership. E, d’altronde, sul punto, Berlusconi, nella telefonata alla Stampa, poi smentita, aveva espresso il suo stato d’animo con una battuta: “Meloni o Salvini premier? “Non scherziamo”. Già, ha ragione il vecchio cavaliere, non scherziamo. Per governare una grande nazione occidentale come l’Italia bisogna dare prova di maturità istituzionale e di cultura delle istituzioni.
Fdi e Lega riconoscano il valore della Resistenza
Il Paese ha una costituzione antifascista costruita sul sangue di italiani che hanno fatto la resistenza. Il 25 aprile è una festa nazionale. E chi si candida a governare questo paese deve accettarne i simboli senza se, però o ma. Invece, ogni anno, da pezzi della Lega e di Fdi si fa a gara a differenziarsi. Per non parlare del caso Duringon o della boutade di Ignazio La Russa che vorrebbe cambiare la natura stessa della festa di liberazione nazifascista. Tutti questi segnali gettano ombre inquietanti sulla chiarezza e limpidezza di una posizione autenticamente antifascista della Meloni e del partito costruito sulle ceneri di An. E fanno sorgere interrogativi abbastanza foschi: cosa sarebbe successo se l’assalto alla Cgil fosse avvenuto con un governo Salvini o Meloni, piuttosto che un governo Draghi?
La destra nostrana farebbe bene ad allargare la loro struttura culturale, cominciando a sgombrare l’idea di una Resistenza e una guerra di Liberazione, ridotta ad uno scontro fratricida tra repubblichini e partigiani. Tutti i morti meritano rispetto. E, tuttavia, gli esponenti della destra italiana, ancora oggi, non hanno riconosciuto con la necessaria fermezza che i repubblichini hanno combattuto per la parte sbagliata. La Resistenza non fu la guerra dei comunisti, fu qualcosa di più. Guardava al futuro. Costruiva una speranza. Gettava le basi di uno stato moderno e di una Costituzione tra le più avanzate al mondo. È appena il caso di ricordare che quel partito, il Msi, il cui simbolo è collocato alla base del simbolo di Fratelli d’Italia era un partito collocato al di fuori dell’arco costituzionale. Quindi, oggi, la Meloni e i suoi fratelli, dovrebbero fare qualche sforzo in più per confermare e rendere credibile la loro completa defascistizzazione.
Le parole di Norberto Bobbio
Agli imbarazzati leghisti e Fratelli meloniani nel definire di stampo fascista gli assalti di sabato pomeriggio a Roma o di schernirsi e irritarsi durante le celebrazioni del 25 aprile, sarebbe utile riflettere, commentare e pensare alle parole pronunciate dal filosofo, giurista e politologo Norberto Bobbio in un discorso rivolto ai cittadini torinesi, agli uomini e alle donne della Resistenza il 25 aprile 1957: «Un’esplosione di gioia il giorno della Liberazione si diffuse rapidamente in tutte le piazze, in tutte le vie, in tutte le case: ci si guardava di nuovo negli occhi e si sorrideva. Tanto prima il volto di un ignoto passante ci pareva ostile, altrettanto ora ci pareva un amico a cui avremmo volentieri confidato il nostro animo. Ci si abbracciava per via. Si sventolavano fazzoletti e bandiere. Le strade, nonostante che gli ultimi cecchini sparassero dai tetti, si rianimavano. Non avevamo più segreti da nascondere. E si poteva ricominciare a sperare. Eravamo ridiventati uomini con un volto solo e un’anima sola. Eravamo di nuovo completamente noi stessi. Ci sentivamo di nuovo uomini civili. Da oppressi eravamo ridiventati uomini liberi. Quel giorno, o amici, abbiamo vissuto una tra le esperienze più belle che all’uomo sia dato di provare: il miracolo della libertà. Sono stati giorni felici; e nonostante i lutti, i pericoli corsi, i morti attorno a noi e dietro di noi, furono tra i giorni più felici della nostra vita».
La Resistenza era questa. La catarsi di una nazione. La conquista della libertà. Valori universali che non possono essere considerati di parte. Sarebbe troppo chiedere alla Meloni e a Salvini di andare a rendere omaggio a qualche monumento ai martiri della Resistenza sparsi per l’Italia. Sarebbe un bel segnale. Farebbe bene a loro e, forse, spingerebbe tanti italiani moderati a recuperare maggiore fiducia sulla loro maturità politica e sulla loro cultura democratica.