Nicola l'iconoclasta ha devastato il mito della infallibile Virilità Criminale, muovendo all'attacco del Testoterone Mafioso degli Scarpuni e dei Tiradrittu, la cui parabola maschia degrada malinconicamente. La graffiante provocazione di Antonella Grippo
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Ci risiamo! Dall'ennesimo pulpito post-boldrinico il solito predicozzo contro il maschio brutto e cattivo, per la glorificazione delle anime femmine, ontologicamente illese e senza macchia. L'eucaristia salvifica del "prendete, bevete e mangiatene tutti", questa volta, più che alla possibilità che il corpo di Cristo possa comprimersi in pane e vino, allude al disegno di maciullare il Corpo della Parola di Nicola Gratteri. La sua colpa? Quella di aver tratteggiato, nel corso di un incontro pubblico presso una scuola calabra - nell'ambito di un progetto di educazione civica - la tendenza delle giovani mamme a preferire la cura del loro look da teenagers in luogo dell'educazione della prole.
Che palle, ragazze! Si torna a brandire l'accusa (poco contundente) di "sessismo", da intendersi come subcultura volta a ledere la santità inviolabile delle donne, notoriamente immuni, per statuto teobiologico di genere, da ogni forma di critica. A denunciare, nella fattispecie, l'offesa subìta dall'intera genìa femminile, la lettera di un'insegnante indirizzata alla autorevolissima Anna Rosa Macrì e pubblicata da Quotidiano del Sud.
In sostanza, il rilievo che viene mosso al Procuratore riguarderebbe la mancata, equanime attenzione censoria di quest'ultimo nei confronti dei papà, le cui lacune pedagogiche, secondo l'autrice della missiva, andrebbero parimenti indicate al pubblico ludibrio. Non solo: il magistrato avrebbe persino osato immaginare che qualche ragazza di Calabria possa subire il fascino del piacione malavitoso di turno, con tanto di automobile superaccessoriata che ne comprovi lo status. Dio, che bestemmia! Siamo al parossismo del "politicamente corretto". Del resto, le supercazzole sul presunto sessismo vantano una tradizione solida. Trattasi di roba vecchia per nulla in grado di assediare il fortino della ragionevolezza laica. Anzi, sai che c'è? Rebus sic stantibus, da giornalista e femmina, mi dichiaro "sessista". Di più: iperbolicamente "misogina". Nel senso di una "misoginia metodologica”, capace - al pari della scepsi cartesiana - di sottoporre a dura prova il dogma talebano dell'appartenenza di genere come stigma di Virtù. Sono stanca di coltivare in clandestinità questo mio perverso ardire! Se proprio ve la devo dire tutta, sospetto anch'io che, per molte giovani donne, ancorché madri, il culto della perfezione estetica sia preminente su ogni altra ragione.
Del resto, il valore supremo della bellezza e dell'eternità di seni e di palpebre ascendenti è imperativo categorico della mistica del Mercato, che ha sostituito l'utopia collettiva (di là da venire) con la secessione di quest'ultima nella corporeità divina da star system hic et nunc. Dentro botuliniche metafisiche a portata di mano. Mi si dirà: anche gli uomini vogliono essere strafighi. Certo, non v'è dubbio. La nuvola di cipria, però, è prerogativa troppo deliziosa per cederne la titolarità a qualsivoglia bellimbusto. Altro che sovversione femminista! Sporge da ogni dove la subalternità rispetto a tutto ciò che è à la page. Trionfa la molecolarità dell'obbedienza, che ci scova ovunque a bordo del trendy. Dov'è lo scandalo? Gratteri ha semplificato perché non fa il sociologo. Non gli si possono contestare, in questo caso, sentimenti primitivi "contra foeminas". A ben guardare, ha fatto più cose femministe lui di quante non siamo state capaci di produrne noi, che continuiamo a spararci pippe vittimistiche e, proprio per questo, perdenti.
Nicola l'iconoclasta, ad esempio, ha devastato il mito della infallibile Virilità Criminale, muovendo all'attacco del Testoterone Mafioso degli Scarpuni e dei Tiradrittu, la cui parabola maschia degrada malinconicamente. Con lui, insomma, il feticcio della 'ndrangheta cazzuta va, in qualche modo, a farsi fottere. E non parliamo di mammolette in concorso per il ballo delle debuttanti, ma, bensì, di criminaloni dall'atavica e rozzissima cultura patriarcale. Gratteri è tecnicamente antimaschista, avendo sconfessato e fatto a pezzi la catechesi pagana e popolare che, da sempre, racconta di una mafia dal Fallo inaccerchiabile. Nei confronti del Procuratore il termine “sessista” viene usato come grimaldello verbale, a prescindere da assunti storiografici e di cronaca, che, invece, vale la pena recuperare alla memoria.
«Le donne si fidano di noi e decidono di parlare per amore dei loro uomini e dei loro figli. Anche questo è un segnale importantissimo da coltivare e incentivare». Così Nicola Gratteri, nel corso della presentazione del libro, scritto con Antonio Nicaso, "La rete degli invisibili". Dopo dieci giorni, Elisabetta Melana, cognata del boss sanguinario di Zungri, Peppone Accorinti, decise di collaborare, nelle vesti di testimone di giustizia. E ancora: il 10 ottobre del 2016, nel corso del processo Black money, celebratosi a Vibo Valentia, la pm Marisa Manzini fu oggetto di minaccia dal canto del boss Pantaleone Mancuso: «Fai silenziu ca parrasti assai». Nell'udienza successiva, il Procuratore intese esprimerle solidarietà, in quanto donna e magistrato, sedendole a fianco. Simbolicamente vicino, così, sia al Pubblico Ministero che al collegio giudicante interamente femminile. V'è da aggiungere, inoltre, che uno dei magistrati di punta della Procura di Catanzaro, fortemente voluta da Gratteri, è Anna Maria Frustaci, titolare dell'accusa, con Antonio De Bernardo e Andrea Mancuso, al processo Rinascita Scott. Come dire, qualche dato di cronaca a suffragio della tesi di cui sopra, a proposito di "femminismi" più o meno pertinenti. Dal pulpito di Perfidia, esule ormai da se stessa e da qualsivoglia Matria pattria, è tutto.