Mentre gli Stati Uniti starebbero consigliando a Israele di ritardare l'ingresso via terra a Gaza per il rilascio dei rapiti e mentre il presidente turco Recep Tayyip Erdogan sembra aver ammorbidito i toni nei confronti di Israele, l’esercito di Benjamin Netanyahu continua la sua difesa, con il rischio che la reazione superi il danno dell’offesa, nonostante ieri sera (23 ottobre), dei 222 ostaggi, ne siano stati liberati due.

L’organizzazione terroristica sapeva bene che operando un attacco come quello ordito il 7 ottobre, lo stato ebraico non sarebbe stato moderato nella risposta. Ma c’è il serio rischio che il piano tessuto da Hamas con il supporto dell’Iran, cioè di distruggere definitivamente i rapporti di normalizzazione difficilmente costruiti negli anni tra mondo arabo e israeliano, possa compiersi attraverso una risposta eccessiva di difesa operato da Israele.

Difatti ad averlo compreso in corner sarebbero lo stesso presidente Joe Biden e gli Stati europei, che nonostante appoggino e supportino Israele nel suo diritto a difendersi ed esistere, starebbero lavorando “sui fianchi” per cercare di rallentare o, se possibile, bloccare un eventuale attacco da terra. Il tutto per garantire il rilascio di altri ostaggi e per evitare un allargamento del conflitto.

La posizione di Ankara sembra, invece, destare stupore nel mondo arabo e islamico, perché fin dalle prime ore dell'attacco sferrato da Hamas, Erdogan avrebbe utilizzato un tono definito “neutrale”, che avrebbe preso le distanze da entrambe le parti.

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Difatti durante i primi giorni del conflitto israelo/palestinese il presidente turco si è limitato a condannare le perdite di vite civili, sottolineando come vi fosse uno stretto contatto con entrambe le parti per creare una linea di dialogo e per contribuire alla fine del conflitto. Tra le cose dette, Erdogan avrebbe caldamente invitato l'amministrazione israeliana a fermare i bombardamenti sulle terre palestinesi, così come avrebbe invitato i palestinesi a fermare le loro molestie nei confronti delle comunità residenziali civili in Israele.

Nonostante i numerosi incontri sulla pace, le richieste di dialogo e i dialoghi a latere per la ricerca di una soluzione immediata al conflitto, ad oggi il bilancio delle vittime israeliane conta 1.400 perdite tra soldati e civili. Nettamente superiore risulterebbe però il numero delle vittime palestinesi, pari a 5.300 la cui maggioranza comprenderebbe donne e bambini, almeno 14 membri delle Nazioni Unite, più di 10 giornalisti palestinesi e personale sanitario.

Ad oggi sarebbero invece 220 gli ostaggi confermati nelle mani delle organizzazioni terroristiche, tra cui Hamas e il Jihad Islamico. Un numero non irrisorio che avrebbe previsto un’incursione via terra per la neutralizzazione di uomini armati di Hamas, con lo scopo di individuare gli ostaggio per liberali. Ne è seguito che Israele ha intensificato gli attacchi nel nord di Gaza, avvertendo che chiunque rimanga nella striscia nord rischia di essere considerato un complice di Hamas. Sembrerebbe infatti che Israele abbia organizzato delle incursioni nel territorio di Gaza con carri armati e fanteria per la liberazione degli ostaggi.

Continuano i lanci di razzi su Israele

Ma come i raid israeliani sulla Striscia, non smettono i lanci di razzi su territorio israeliano da parte di Hamas al Sud e da parte di Hezbollah al Nord. Gli allarmi sono risuonati nella zona di Beer Sheva, e si sono attivati nei kibbutz Ein Hamfaretz e Kfar Masarik, che si trovano a sud di Acri, ma grazie al sistema di difesa anti missile Iron Dome sono stati prontamente intercettati. Così come non smettono i lanci di razzi su Sderot.

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Come se non bastasse, nel nord di Israele sarebbero stati intercettati due droni provenienti dal Libano. A confermarlo l’IDF che avrebbe parlato di due velivoli aerei senza pilota che si erano infiltrati dal Libano nell'area di Ein Hamfaretz, che si sarebbero infiltrati attraverso lo spazio marittimo, ma sarebbero stati neutralizzati. Inoltre il sistema di difesa Iron Dome avrebbe ulteriormente intercettato un velivolo sospetto che transitava dal Libano all'Alta Galilea.

Un barlume di speranza al valico di Rafah

Dopo i 20 camion con aiuti umanitari che si sono palesati come una misera goccia nell’oceano, dalla giornata di domenica nel silenzio dei media, sembra che siano già tre i camion di sostegno alla popolazione palestinese. Difatti questa mattina (24 ottobre) un terzo convoglio umanitario sarebbe entrato a Gaza dall'Egitto attraverso il valico di frontiera di Rafah.

Anche se l’ONU non smette di ricordare che i convogli umanitari dovrebbero essere più numerosi, per soddisfare le richieste di soccorso e aiuto alla popolazione di Gaza sfollata dal Nord della Striscia. Le Nazioni Unite avrebbero altresì detto che vi è un urgente rimpinguamento di beni di prima necessità come cibo, acqua e forniture mediche.

Il portavoce dell’ONU avrebbe dichiarato: «I 20 camion hanno portato beni di cui avevano disperatamente bisogno, come forniture mediche, scatolette di tonno e concentrato di pomodoro, farina di frumento e acqua potabile sufficiente per coprire i bisogni di 22mila persone per un solo giorno».

A destare preoccupazione il numero degli sfollati palestinesi nel Sud della Striscia, che equivarrebbe a circa 1,4 milioni della popolazione di Gaza. Uomini, ma soprattutto donne, anziani e bambini, molti dei quali cercano riparo nei sovraffollati rifugi approntati e messi a disposizione delle Nazioni Unite.

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Un rapporto del Qatar racconta i piani dell’Egitto sui campi profughi

Non c’erano dubbi che il Qatar dopo i miliardi spesi per sostenere la Striscia di Gaza si sarebbe ritagliato il ruolo del “mediatore”. Difatti secondo un rapporto ufficializzato dallo Stato arabo della penisola, l’Egitto si sarebbe offerto di creare dei campi profughi per i palestinesi evacuati dal nord della Striscia di Gaza vicino a Rafah.

A renderlo pubblico il quotidiano del Qatar, al-Arabia al-Jadid, che avrebbe riferito che l'Egitto si sarebbe offerto di allestire campi profughi per i palestinesi evacuati dal nord della Striscia, nel sud, a circa tre chilometri da Rafah.

Questi campi saranno supervisionati dall'Egitto, che dovrà fornire aiuti umanitari e consentirà perfino ai palestinesi feriti di ricevere cure negli ospedali del Cairo. Il rapporto afferma anche che l'Egitto sarebbe coinvolto in trattative per il rilascio degli ostaggi, soprattutto quelli di cittadinanza americana, in cambio dell'introduzione di circa 200 tonnellate di beni di prima necessità e attrezzature mediche.

Un membro dell'ufficio politico di Hamas, Hussam Badran, ha confermato, in un'intervista ad al-Jazeera, che si starebbero svolgendo colloqui con tutte le parti interessate per promuovere un accordo sullo scambio dei prigionieri. Il tutto affermato che i negoziati in questa fase riguardano solo la questione dei civili e non includono il rilascio dei soldati.