Il giovane militare di 19 anni ha raccontato di essere stato prigioniero dei russi. È tornato mutilato ma non ha perso la gioia di vivere
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La guerra non è solo l’attacco dell’offensiva o la difesa operata dalla controffensiva. La guerra è ciò che resta del disastro, dei danni non solo alla natura o alle infrastrutture che con il tempo verranno ricostruite, ma è anche e soprattutto il danno umano che si infligge su una popolazione con i conseguenti danni psicofisici che dovranno essere risanati e per i quali a volte non c’è soluzione, e per le quali spesso non bastano 2/3 generazioni per curare “le ferite”.
Un conflitto è fatto di storie inenarrabili, che oltre ad andare contro natura vanno anche contro ragione. Ma nella tragedia, ci sono storie di rinascita che meritano di essere conosciute, come quelle di uomini e donne e giovani che hanno deciso di combattere per la propria terra e che al ritorno dall’inferno hanno trovato la forza di non mollare.
Ho perso molti amici e contatti e anche se al momento l’idea di ritornare a documentare è bloccata dal peggioramento della situazione, ancora c’è chi da lì manda messaggi per raccontare cosa accade. Amici che condividono post, link, pensieri e storie e che mandano auguri per i giorni in cui ci sono le nostre festività. Un patrimonio umano senza precedenti, equiparabile alle tanto attese “lettere” che arrivavano dal fronte tra la prima e la seconda guerra mondiale. Missive che per giungere a destinazione impiegavano mesi, mentre oggi alla velocità di un click abbiamo la possibilità di leggerle in tempo reale o quasi.
Non è vero che l’uomo impara dagli errori, ma anzi, è dagli stessi che riesce a ricavare il peggio del peggio. A raccontare l’inferno è uno dei tanti ragazzi che a soli 19 anni è sceso negli inferi e dall’Ade e ritornato letteralmente a pezzi senza mollare.
Sono migliaia che al rientro dal fronte, donne e uomini (militari/civili), hanno dovuto riadattare la loro vita su nuove basi, come quelle fisiche. Grazie alle nuove tecnologie adesso possono usufruire di protesi bioniche o mioelettriche, che sono tra le più moderne. A questo sembra averci pensato il governo, che ha messo a disposizione, di chi ha subito tali perdite, la possibilità di avere gratuitamente braccia e gambe che funzionano con impulsi provenienti da un parte umana.
Daniil ha 20 anni ed ha deciso di diventare “un difensore” scegliendo la professione militare. Era stato preparato ad affrontare il nemico, ha attraversato l'inferno della prigionia russa e ne è uscito a pezzi senza perdere la gioia di vivere. Questo ragazzo non ha vergogna di essere tornato mutilato e a chiunque si rammarica e si dispiace per la sua attuale condizione lui chiede di non disperarsi. Un esempio che dimostra come questi uomini e donne, nonostante siano stati costretti dalla vita ad indossare delle protesi, sono riprova di grande resilienza e forza.
Con un grande sorriso e due occhi pieni di voglia di vivere, come si evince dalle foto e dai video, Daniil indossa due protesi alle gambe e una alla mano, entrambe realizzate per lui negli USA. Dal suo rientro ha ringraziato per questa nuova vita, non perdendo i sogni e la voglia di fare per il futuro.Daniil ha ripreso a vivere come un ragazzo di venti anni merita. Ha imparato a “camminare” sulle sue nuove gambe ed ha ripreso a giocare a calcio con i suoi amici e commilitoni anche loro in riabilitazione. Attraverso i suoiTikTok mostra la gran voglia di ritornare a vivere andando in piscina, ballando e facendo piegamenti.
«Sono entrato all'Accademia militare di Lviv specializzandomi in ‘unità meccanizzate’, cioè fanteria. Durante i 2 anni e mezzo di Accademia ho studiato per diventare sergente minore e sono diventato capo plotone. La nostra laurea era prevista per il 26 febbraio 2022», peccato che il 24 febbraio dello stesso anno sia iniziata la guerra contro l’Ucraina.
Difatti già il 27 febbraio 2022, la 14a brigata meccanizzata fu inviata in missione di combattimento. Daniil all’ora 19enne fu nominato vice comandante. Inizialmente, l'unità era di stanza a Malin, nella regione di Zhytomyr, ma dopo alcuni giorni fu inviato nella regione di Kiev.
Così il racconto del giovane vice comandante, narrato da alcuni quotidiani e social, ha inizio: «Il 7 marzo abbiamo formato un battaglione per l'offensiva e ci siamo mossi in direzione di Borodyanka. Avevamo sette BMP, un carro armato e un veicolo medico - dice il ragazzo – Ma dopo aver raggiunto il luogo designato, siamo caduti in un'imboscata dei russi».
La battaglia ebbe inizio in un villaggio occupato dai russi e il battaglione perse molti uomini. Daniil fu ferito da schegge sotto la natica sinistra, ma continuò a rispondere al fuoco. Dopo un'altra esplosione, la sua mano sinistra andò in frantumi e le sue dita rimasero incastrate nell’arma. Prima di arrivare strisciando nel magazzino, riuscì a dare ai suoi compagni cartucce e granate.
«Pensavo che sarei morto lì. Sono rimasto nascosto per due giorni. L'evacuazione era ormai impossibile. Loro – riferendosi ai russi - stavano frugando nelle case, cercando qualcosa ed è così che mi hanno trovato. Ho subito detto loro che non avrei parlato e che potevano spararmi. Hanno comunque iniziato a interrogarmi». Paradossalmente quello che è stato il suo inferno è stata anche la sua salvezza, perché diversamente Daniil non avrebbe potuto raccontare questa storia.
Purtroppo la gente del posto non ha potuto aiutare Daniil, perché gli occupanti o gli “orchi”, come sono soprannominati dagli ucraini, controllavano rigorosamente la zona e ogni movimento e non permettevano a nessuno di lasciare le proprie case. Dopo lunghi interrogatori, i giovani soldati russi prestarono i primi soccorsi al ferito e gli diedero qualcosa da mangiare. Da lì in poi è iniziata la sua prigionia, vissuta in una buia cantina, malnutrito e portato in un ospedale russo. Esattamente un ospedale da campo in Bielorussia insieme ai feriti russi. Nell'ospedale da campo è stato bendato, suturato e mandato in cantina.
Lui ricorda come fuori il freddo fosse pungente e come riusciva a penetrare nelle ossa. «Ho avuto fame per diversi giorni e gradualmente mi sono congelato mani e piedi», così come ricorda che assieme a lui nella cantina ci fossero anche civili ucraini. «Ad esempio, un uomo di Malin, prima di essere catturato, si nascondeva assieme alla sua famiglia nel seminterrato di casa sua. I russi lo hanno portato via, solo perché hanno trovato in casa sua un fucile arrugginito. L'uomo è stato chiamato nazista ed è stato fatto prigioniero. Era tutto tumefatto e le sue gambe erano congelate».
«Siamo stati portati fuori dalla Bielorussia in lotti. C'erano 65 prigionieri, di cui solo 15 militari, e il resto erano civili. Non mi hanno preso. In qualche modo sono finito all'ospedale civile della città di Rylsk» ed è lì che gli hanno amputato ciò che restava della mano sinistra, che aveva cominciato ad andare in cancrena, così come anche le quattro dita della mano destra che si erano congelate, dovevano essere amputate.
Il 21 aprile 2022 ha avuto luogo uno scambio di prigionieri e Daniil è tornato a casa. Due giorni dopo, a Kiev, gli sono state amputate le parti terminali delle gambe. Da lì è stato trasportato a Leopoli per la riabilitazione e da lì a Lublino. «Avevo programmato di ottenere protesi nell'ambito del programma statale, ma mi sono imbattuto per caso nella Fondazione Protez. Andato negli Stati Uniti. Lì mi sono state subito fornite protesi meccaniche e sportive per le gambe e protesi cosmetiche e bioniche per le braccia. Tutto è assolutamente gratuito».
Daniil Melnyk è attualmente in fase di riabilitazione fisica e psicologica negli Stati Uniti. Per due mesi ha camminato con una protesi bionica educativa. Gli specialisti del centro di riabilitazione hanno tenuto il ragazzo sotto osservazione per vedere come si sentisse nell’indossare delle protesi e sulla base dei risultati, hanno realizzato una protesi bionica permanente. «Appena arrivato al centro di riabilitazione, ho potuto subito ritirare i blocchi e iniziare a tradurli. Certo, questa non è la mia mano e la sento diversamente. Ma oggi posso già tenere in mano un bicchiere, uno zaino, un telefono, allacciare una giacca, premere i tasti di un laptop o impugnare un mouse. Inoltre, un grande vantaggio è che la mano non riposa ed è impegnata con il lavoro. Ora ho un pennello, simmetria, ed è generalmente super».
Daniil ha un'App sul telefono per la sua mano bionica, con oltre 20 comandi che il braccio bionico può eseguire. Il ragazzo dà un impulso con il moncherino e l’arto bionico esegue i movimenti corrispondenti. «Con una mano bionica puoi andare in guerra, ma ci sono diverse sfumature. Innanzitutto, è meno resistente agli urti, se si rompe, la riparazione potrebbe richiedere del tempo. Inoltre, questa mano non è molto rapida nella reazione, il che è necessario in guerra. Pertanto, in condizioni di campo, preferisco una protesi meccanica convenzionale. Con esso, posso facilmente sollevarmi dal pavimento, tirare pesi o qualsiasi altra cosa pesante. Ma la protesi bionica mi si addice meglio per le riunioni, i viaggi in ufficio».
Scopro così una Fondazione che si chiama Protez (Protez Foundation) e che ha un centro di assistenza a Svaliva, e nell’Oblas di Zakarpattia. Quindi al suo rientro Daniil, se dovesse subire qualche danno alle protesi sarà in grado di ripararle. Attualmente sta ancora terminando il suo percorso negli Stati Uniti, dove è impegnato in un progetto sull'addestramento dei veterani militari e sul loro ulteriore impiego. Vuole seguire dei corsi e ottenere una qualifica di psicologo per aiutare i suoi fratelli e sorelle ad affrontare le conseguenze della guerra.