A Roma si fa strada l'ipotesi di non partecipare alla consultazione elettorale di gennaio. Di Maio è in crisi e non detta la linea, un silenzio che alimenta i timori e inguaia il Pd. Così in Calabria si calcolano i rischi di una disfatta come quella registrata in Centro Italia
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Il Pd potrebbe aspettare Godot. Mentre la segreteria Zingaretti spera ancora nell'accordo alle prossime Regionali, i 5 stelle pensano seriamente al ritiro. Nel Movimento tira aria di rivolta, alimentata dal disastro elettorale in Umbria, dal pantano ArcelorMittal e, soprattutto, dalla fronda contro Di Maio.
Il capo politico è nel mirino di molti big della vecchia guardia, ormai insofferenti rispetto a un leader che detiene ampi poteri ma continua a inanellare batoste nelle urne.
I dissidenti
Uno dei capi dissidenti è il senatore calabrese Nicola Morra. Pochi giorni fa ha convocato un'assemblea per discutere dell'attuale momento del M5s (la partecipazione, in realtà, non è stata molto alta: solo 30 parlamentari avrebbero risposto all'appello del presidente dell'Antimafia).
Morra ha tenuto a specificare che il vertice «non è contro nessuno, siamo qui solo per ricordarci cosa eravamo». I contenuti dell'incontro hanno comunque fatto suonare l'allarme tra i pentastellati fedeli a Di Maio.
Tant'è che Davide Casaleggio sarebbe tornato a Roma per tentare di placare le fibrillazioni interne e tenere la barra dritta, quando ormai mancano circa due mesi agli appuntamenti elettorali di Calabria ed Emilia Romagna.
Saranno snodi cruciali, da cui potrebbe dipendere la tenuta del governo Conte. Il Movimento è completamente spaccato, con Di Maio che, per adesso, preferisce non imporre una linea per non assumersi la responsabilità di un altro, eventuale, crollo. Il ministro degli Esteri sa che la sua leadership difficilmente potrebbe reggere davanti a un'altra Caporetto. Molti parlamentari gli hanno perfino suggerito di alleggerire la sua posizione, magari attraverso la costituzione di una segreteria.
Le Regionali
Il nodo vero sono le Regionali. Né in Calabria né in Emilia i 5 stelle hanno preso una decisione. E ora si fa sempre più strada l'ipotesi – ventilata da diversi esponenti di primo piano del Movimento – di un ritiro strategico, pensato per evitare guai peggiori di quelli dell'Umbria. Il piano potrebbe riguardare in particolar modo la Calabria. In Emilia il Movimento ha basi più solide e l'alleanza con il Pd, a supporto del governatore uscente Bonaccini, potrebbe pure risultare vincente.
A sud del Pollino è tutto diverso. I 5 stelle hanno uno score pessimo alle Regionali e non hanno mai eletto nemmeno un consigliere a Palazzo Campanella. In più, c'è da considerare la posizione di parlamentari e militanti, che non intendono accettare il patto con quegli stessi esponenti dem accusati, fino a due mesi fa, di essere il cancro della regione.
Poi esistono anche ragioni utilitaristiche, nel senso che – ragionano i pentastellati calabresi – l'accordo con il Pd non è garanzia di successo, anche per via della probabile candidatura “contro” del governatore Oliverio, che spaccherebbe il fronte a tutto vantaggio del centrodestra; e dunque il Movimento sarebbe costretto a “vendersi l'anima” per un semplice azzardo politico.
Sono queste e altre le ragioni che potrebbero spingere Di Maio a tirarsi fuori dai giochi. D'altronde, è proprio questo l'orientamento espresso con chiarezza dallo stesso Morra, il teorico dello stare fermi un giro che potrebbe aver fatto proseliti.
Per Zingaretti il ritiro dei 5 stelle sarebbe un bel guaio, perché si ritroverebbe senza la parte più consistente della coalizione ideata per fermare l'avanzata delle forze sovraniste in Calabria.
Il Pd, però, non vuole pensarci e aspetta ancora Godot; anche se, come nel dramma di Beckett, «non accade nulla, nessuno arriva, nessuno se ne va, è terribile!».
bellantoni@lactv.it