"Tutte le strade portano a Roma", recita un vecchio adagio. Che i rappresentanti del popolo arancione hanno tramutato in "ogni via conduce alla Cittadella". Lo stesso edificio che hanno idealmente colonizzato ieri in occasione della partecipata manifestazione (al netto delle limitazioni per il Covid): Libera la Calabria #dalricattoalriscatto, mostrando come per loro l'auspicato approdo alla Regione (con il dichiarato intento di arrivare addirittura primi) è una maratona lunga sei mesi (da adesso all'ancora ipotetica data del ritorno alle urne). Anzi per la precisione molti di più, avendo iniziato a muoversi in maniera compatta più o meno dalla fine del gennaio scorso in poi.

Saranno quindi circa 300 i giorni complessivi di lavoro per chi ha bisogno 'come il pane' di radicarsi e farsi conoscere nel territorio, malgrado la possibilità di contare su diversi esponenti di spicco già popolarissimi. Ma il tempo di gioco, chiamiamolo così, degli orange di Calabria sembra lungo, troppo lungo, per una delle regole auree di una politica in cui non di rado persino in una notte o comunque in mezza settimana può accadere di tutto e il suo contrario.

A costituirne un esempio eclatante la cosiddetta crisi di Governo di Ferragosto (in realtà iniziata qualche giorno prima) del 2019, quando Capitan Matteo Salvini creò quasi dal nulla i presupposti per il tramonto dell'esperienza gialloverde alla guida del Paese. Una rottura 'traumatica' prodromica al passaggio dal Conte 1 al Conte 2 e soprattutto da una maggioranza a un'altra con dentro molti di coloro che avevano preso una mazzata alla tornata per il rinnovo del Parlamento di inizio marzo '18. Un passaggio chiave della storia repubblicana recente quasi deciso in spiaggia, dunque, da un allora ministro dell'Interno che sognava la spallata decisiva e i pieni poteri per andare a Palazzo Chigi, appunto da plenipotenziario, rimandando così il nient'affatto (da lui in particolare) amato "Giuseppi" a insegnare all'Università.

Il modo in cui andarono le cose è però arcinoto e resta soprattutto il fatto che per il fronte guidato dal sindaco di Napoli Luigi de Magistris (aspirante presidente) con Carlo Tansi accanto a lui (indicato invece per presiedere l'assemblea) e poi ancora con dentro Anna Falcone, Pino Aprile, Mimmo Lucano, Giuseppe Scarpelli, Domenico Gattuso ecc., come premesso il fattore tempo è soltanto una convenzione. Idea ovviamente non condivisa dai maggiori azionisti, almeno finora, della classe dirigente (termine inteso in ambito istituzionale) calabra. Che faranno invece la solita corsa divisi negli schieramenti 'tradizionali' ormai abituati a campagne elettorali last minute. Ecco allora che si avrà un centrodestra, da cui traspare senza infingimenti il concetto della vittoria già acquisita, attento - dopo aver peraltro indicato il non gettonatissimo (fra gli alleati) Roberto Occhiuto quale aspirante governatore - a parare i colpi dell'eclettico facente funzioni Nino Spirlì e dalla parte opposta un centrosinistra impegnato a barcamenarsi in quella che per ora è una sorta di solitudine dei... numeri primi alla spasmodica ricerca di compagni di viaggio.