«Dalla Calabria il prossimo 4 dicembre arriverà un segnale decisivo per il “No”. Sarà un segnale non solo verso il Governo ma anche nei confronti di quel ceto politico locale subalterno al “renzismo”, che si sta spendendo per il “Si”. Il Presidente della Campania De Luca, ad esempio, è riuscito a strappare a Renzi quel risultato, di cui ora Oliverio beneficerà, vale a dire la possibilità per i governatori di essere commissari della sanità regionale. E' un fatto grave, che apre le porte ad interessi opachi legati alla sanità privata. Il “No” del prossimo 4 dicembre da parte dei cittadini calabresi sarà un “No” a questo modo di fare politica e di gestire la cosa pubblica».

 

Lo ha dichiarato Alfredo D'Attorre, deputato di Sinistra Italiana, aprendo la conferenza stampa a Lamezia Terme per ribadire le ragioni del “No” al referendum insieme a Valdo Spini, Elisabetta Piccolotti e Gianni Speranza di Sinistra Italiana.

 

D'Attorre accusa il governo di «cinismo e disprezzo nei confronti dei cittadini italiani. Il ministro della Salute fa affermazioni assurde dicendo che con la vittoria del “Si” sarà più facile curarsi anche per patologie come il cancro e il diabete, vendendoci la favola che la gestione della sanità tornerà nelle mani dello Stato. È giusto che i cittadini sappiano che si sta facendo propaganda sulla pelle dei malati. Nulla cambierà con questa riforma. Esiste già l'articolo 120 della Costituzione che attribuisce allo Stato il compito di fissare i livelli essenziali delle prestazioni sanitarie su tutto il territorio nazionale. Il problema è un altro ed è un problema che il governo Renzi non vuole affrontare: perché, nonostante il famoso Patto per la Salute firmato in pompa magna con le Regioni italiane, che prevedeva lo sblocco di 115 miliardi per la sanità, nell'ultima legge di stabilità ne sono stati sbloccati solo 113 e il resto verrà sbloccato solo entro il 2019? Questo governo vuole ridurre l'incidenza della spesa per la sanità al 6% del Pil, un livello così basso che rischia di mettere a rischio i livelli essenziali di assistenza».

 

«E’ davvero paradossale che le Regioni a cui si tolgono i poteri con questa riforma siano contente. Significa essere contente della propria inadeguatezza», ha affermato Valdo Spini che, entrando nel merito della riforma, ha evidenziato i rischi di un sistema che «opera un trasferimento di potere in capo al presidente del Consiglio che non esiste in nessuna delle democrazie che conosciamo. Anche il primo ministro inglese, che ha molti poteri, deve essere eletto nel proprio collegio elettorale. Ma con questa riforma concentriamo poteri in mano a una figura che viene nominata». Spini contesta il combinato disposto riforma costituzionale - legge elettorale “Italicum” rispetto al quale «la legge truffa approvata dalla DC nel 1953 era una caramellina per bambini. In quella legge c'era il presupposto che la coalizione, non la lista, dovesse ottenere il 50% più 1 dei consensi. Se passa il “Si” il prossimo 4 dicembre, la lista che vince al ballottaggio anche solo di un voto si porta a casa il 55% dei seggi con cento deputati nominati dal leader del partito di riferimento».

 

Sui sbandierati risparmi della Riforma, l'esponente socialista parla di una «gigantesca e falsa operazione di propaganda per un risparmio che la Ragioneria generale dello Stato ha quantificato in soli cinquanta milioni di euro con il nuovo Senato non più eletto dai cittadini. E' come se i cittadini italiani rinunciassero a un elemento di democrazia, quindi alla possibilità di eleggere i senatori, per avere in cambio un caffè».

 

Da parte di Elisabetta Piccolotti, duro attacco «all'occupazione della Rai e dei mezzi di informazione da parte del presidente del Consiglio, che ha raggiunto livelli inquietanti di propaganda e aggressione mediatica. Questa riforma rafforza i processi di costruzione di una politica autoreferenziale. Qui non si vuole dar vita a un Senato delle Regioni, ma a un senato dei potenti delle Regioni. Mi appello ai cittadini calabresi perché si oppongano a una vera e propria spoliazione della qualità della nostra democrazia».

 

Sonia Rocca