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Il segretario regionale del Pd Ernesto Magorno non riesce proprio a vincerne una. Dalla sua elezione a segretario, arrivata per il rotto della cuffia su un agguerritissimo Massimo Canale allora candidato della sinistra democrat dei vari Adamo, Oliverio e compagnia, ha inanellato soltanto sconfitte e ha gioito soltanto alle regionali per la vittoria del suo acerrimo nemico Mario sul centrodestra di Wanda Ferro.
Una vittoria che in realtà avrebbe già potuto fargli perdere la poltrona sulla quale ancora siede. Già perché Magorno si era speso completamente contro la candidatura di Oliverio. Ha tentato in ogni modo di non far celebrare le primarie chiedendo un nome da Roma e poi, quando è stato costretto a cedervi, ha sostenuto la corsa partita già perdente di Gianluca Callipo.
Eppure con un’arte che dovrebbe iniziare ad insegnare è riuscito a rimanere in sella. Dapprima con difficoltà sotto le bordate crescenti di Oliverio che sono arrivate al massimo sulla gestione della sanità e alla vigilia delle comunali di Cosenza quanto Magorno ebbe la pensata di commissariare la federazione indicando Ferdinando Aiello. Oliverio, Guglielmelli e i suoi minacciarono di sfiduciarlo in assemblea inviando ai media la raccolta di firme che faceva vedere come il parlamentino democrat fosse diventato a maggioranza bersaniana. Magorno fu costretto a tornare sui suoi passi. O meglio fece dimettere Aiello che per motivi personali rinunciò all’incarico.
Come se non bastasse a Cosenza ci fu poi il pasticcio brutto di Lucio Presta e la sconfitta bruciante, nella provincia del governatore, contro il centrodestra di Mario Occhiuto. Anche allora il segretario Magorno ammise la sconfitta, ma riuscì a rimanere in carica.
Da quel momento in poi mutarono i rapporti con Oliverio che ha provato ad avvicinarsi alle posizioni renziane in vista del referendum costituzionale con chiari obiettivi: ottenere il via libera del governo romano agli stanziamenti sulla forestazione, alle norme sulla sanità, agli stanziamenti per gli Lsu, ai fondi Cipe e chi più ne ha più ne metta. Magorno fiutò l’aria e con Oliverio strinse un patto di ferro offrendo la propria sponda anche per riuscire a mandare via i Commissari Scura e Urbani.
Obiettivo quasi raggiunto con l’attuale legge di stabilità che ha al suo interno l’emendamento “De Luca” che elimina l’incompatibilità tra la carica di governatore e quello di commissario per il piano di rientro. Il patto, ovviamente, prevedeva il sì di Oliverio e dei suoi ex bersaniani alla riforma costituzionale. Solo che Oliverio e i suoi, il cui reale impegno ai seggi è tutto da dimostrare viste le percentuali, pur perdendo conservano il governo regionale e molte norme di favore le hanno comunque incassate.
Altre lo dovranno essere, ma con un governo di continuità (Padoan ad esempio) potrebbero anche essere realizzate. Magorno, invece, si ritrova ancora una volta sconfitto e con il cerino in mano. E la sua confusione emerge anche dalle sue dichiarazioni a caldo del giorno dopo. La prima ammette la sconfitta: “La prevalenza dei no porta in primo piano una immediata riflessione sulla necessità e l’urgenza, all’interno del Pd e dei governi e delle istituzioni del Paese, di modificare gli assetti precostituiti, abbandonando personalismi e rispondendo alla domanda di cambiamento che con forza ci viene consegnata dagli elettori”. La seconda, del pomeriggio, prova a menar il can per l’aia. “Della sconfitta al referendum, di un voto caratterizzato da un profilo molto politico, rimane in campo un dato certo: ovvero quegli oltre 13 milioni di consensi espressi con il sì alla riforma costituzionale. Si tratta di numeri importanti”.
Si aspettano adesso la riunione della direzione nazionale del partito e, a seguire, quella regionale. Ma se Magorno dovesse riuscire a sfangarla anche stavolta entrerebbe davvero nel guinness.
Riccardo Tripepi