La pandemia, l’arresto del presidente del Consiglio regionale, il commissario alla sanità “drogato”, i fari dei media nazionali perennemente puntati sulla Cittadella, il balletto dei commissari (nominati e poi revocati), la sanità rimasta senza guida. A prendere le redini della Calabria nel periodo storico forse più difficile della sua storia recente è Nino Spirlì, vicepresidente della Regione, rimasta acefala dopo la prematura scomparsa della presidente Jole Santelli. Oggi ritirato a vita privata, affronta la sua personale battaglia contro la malattia. Ha deciso di raccontare la sua esperienza attuale e quella dell’ultimo scorcio di quella legislatura funestata da accadimenti drammatici.

Lei ha retto la Regione in un periodo molto complicato per la Calabria. Che ricordo ha di quel periodo? Hai mai pensato di non essere all’altezza del compito?

«Mai pensato. Per essere all’altezza di una buona amministrazione, basta essere onesti, leali verso la gente, disponibili a crescere, ad imparare cammin facendo. Dei miei venti mesi in Regione, conservo un ricordo indelebile di forza, tenacia e soddisfazione».

Probabilmente anche in virtù di quella esperienza, avrebbe voluto continuare il suo percorso in politica? Come ha vissuto l’esclusione?

«Nessuna esclusione, se non quella decisa da me. Non sono uomo di partito: ho sempre coltivato la libertà di essere, decidere, frequentare, fare, cambiare. Non avrei potuto essere unicamente di un partito. Piuttosto, uomo delle Istituzioni».

Attualmente cosa apprezza dell’azione di Governo del presidente della Regione e cosa invece non condivide nel suo approccio?

«Tutto, grazie a Dio. Roberto è un elegante rivoluzionario. Sta capovolgendo l’azione amministrativa, sconfiggendo vecchie macchinazioni deleterie, pericolose perfino».

Pensa che la situazione sul fronte sanitario sia migliorata in questi anni?

«Per migliorare la sanità in Calabria, serve coraggio. Quello che manca a certi medici di presentare richiesta di auto licenziamento».

Lei tra l’altro sta affrontando una battaglia contro la malattia, che esperienza diretta ha dell’assistenza sanitaria in Calabria?

«Buona e pessima. Sono attualmente in cura oncologica all’ospedale Morelli di Reggio Calabria, dove trovo alta professionalità, nella persona del Dr Azzarello e del team di infermiere, tutte pazzesche, tenaci, coraggiose, professionali. Il dottore ha dimostrato grande umanità e disponibilità, accettando di condividere la proposta di terapia, sperimentale, con i medici del San Raffaele di Milano, dove sono stato “salvato” da precedenti follie sanitarie calabre… tutte documentate».

Se potesse tornare indietro c’è qualcosa che cambierebbe o non rifarebbe durante la sua breve esperienza alla guida della Regione?

«No, nulla. Una esperienza diversa anche per i calabresi, che hanno dovuto misurarsi con un nuovo modo di “essere presidente”, in tuta, parlante, social, umano. Diretto, direi».

Di cosa avrebbe bisogno dal suo punto di vista la Calabria? È vero che è una regione irredimibile, o ci sono le condizioni per un cambiamento, soprattutto culturale?

«La Calabria è l’Eldorado. Quando lo capiranno tutti i calabresi, nessuno partirà più; nessuno la punirà con pretese assurde; nessuno pretenderà di occupare posti di responsabilità che non merita. Anche e soprattutto nella sanità».

Con che spirito sta affrontando questa malattia?

«Con fede, con serenità, tenacia e disponibilità. Senza disperazione o pessimismo. Per me, non importa quanto tempo durerà questa gita sulla Terra, ma cosa mi stia insegnando».

Se potesse, per quale aspetto di sé (o per un impegno specifico) vorrebbe essere ricordato?

«Per l’Amore verso l’Umanità. Senza tornaconto».

Nel periodo alla presidenza della Regione, ha sdoganato l’uso dei social con dirette durante la giornata. Potremmo derubricarle a mero artificio comunicativo o sentiva in quel periodo l’esigenza di avere un contatto diretto con i calabresi?

«È stata la prova provata che noi Calabresi siamo una bella Famiglia. Ancora oggi la mia casa social conta milioni di interazioni. Ci vogliamo bene, ci frequentiamo e condividiamo. Anche la malattia. E vinciamo».