L’hanno definito lo “SpaccaItalia”, la riforma fortemente voluta dalla Lega sull’autonomia differenziata. Un obiettivo che il Carroccio ha perseguito con grande determinazione e che parla alla pancia del suo elettorato nordista.

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Che questa volta la Lega facesse sul serio lo si è capito subito, dalla composizione del Governo Meloni. Matteo Salvini ha subito indicato per il Ministero per gli Affari regionali e le autonomie, il medico Roberto Calderoli. L’obiettivo era quello di varare l’autonomia differenziata ovvero assegnare alle regioni maggiore autonomia in alcune materie e soprattutto finanziarle con il gettito fiscale da queste prodotte. Il problema che si pone subito è quello della sussidiarietà dello Stato e il rischio di aumentare ancora di più i divari economico-sociali fra il Nord e il Sud.

Pochi mesi più tardi venne fuori che le forze di governo del centrodestra avevano messo alla base della loro intesa politica un vero e proprio patto in cui l’autonomia differenziata veniva ceduta alla Lega in cambio della riforma del premierato tanto cara a Fratelli d’Italia, mentre a Forza Italia veniva garantita la riforma della giustizia. Ma se sugli ultimi due punti le cose sono andate a rilento, non così sull’autonomia differenziata. Si è andati avanti spediti nella redazione della proposta di legge che viene approvata dalla Camera nel giugno scorso. Un’approvazione molto contestata, farcita anche da una rissa fra i banchi di Montecitorio conclusa con i senatori leghisti che espongono in aula le bandiere delle diverse regioni, fra cui anche quella della Regione Calabria.

La Lega a quel punto decide di spingere sull’acceleratore e fa approvare il testo anche in Senato attraverso una seduta notturna fiume, in cui il dibattito parlamentare viene di fatto azzerato. Alle vibranti proteste delle opposizioni replica direttamente la premier, Giorgia Meloni, ricordando in un video che l’autonomia differenziata «era già in Costituzione grazie alla sinistra». Venne infatti approvata a colpi di maggioranza nel 2001 dall’allora Governo Amato.

Siamo in giugno e la legge “Calderoli” pone una differenza fra le materie che possono essere trasferite alle Regioni. Questa sta tutta nei Lep ovvero i livelli essenziali delle prestazioni che devono essere garantiti in maniera omogenea su tutto il territorio nazionale. Per le altre materie, che non rientrano nei Lep, invece le competenze possono essere immediatamente trasferite attraverso intese che passano da Regioni e Consiglio dei Ministri, con il Parlamento chiamato a pronunciarsi soltanto in un secondo momento e in maniera non vincolante.

Il Governo a quel punto nomina una commissione, guidata dal giurista Sabino Cassese, per stabilire i Lep con uno o più decreti legislativi, dunque, finché il governo non avrà determinato i LEP, le regioni non potranno avviare la richiesta di maggiore autonomia. Ma il problema più che individuare queste prestazioni è come finanziarle. Per questo iniziano a serpeggiare i primi dubbi sulla riforma, soprattutto in Forza Italia con il presidente della giunta regionale della Calabria, Roberto Occhiuto, che vara la formula “No money, no party” ovvero senza il finanziamento dei servizi essenziali non si può procedere all’autonomia differenziata.

Quello che nemmeno Forza Italia ha calcolato è l’ondata di indignazione che sorge nel Paese contro la riforma che vede in prima fila non solo i partiti delle opposizioni, ma anche i sindacati e persino i vescovi che giudicano socialmente iniqua la riforma. Così nel luglio scorso parte la raccolta firme per indire un referendum abrogativo della Calderoli. La petizione si rivela subito un successo sfondando quota un milione e trecentomila firme. Intanto giuristi, economisti e politici spiegano i danni della riforma come il nostro network ha riportato per tutta la scorsa estate con una campagna martellante e autorevole, per contenuti e qualità degli interventi, sull’autonomia.

La cosa agita non poco Forza Italia che ha nel Sud il suo granaio elettorale. Così Roberto Occhiuto alla convention nazionale del partito avverte tutti che bisogna evitare il referendum, visto che in Calabria, così come nelle altre regioni meridionali finirebbe 9 a 1. Ma Occhiuto si limita solo a questo, nonostante le sue opposizioni lo incalzino a presentare anche lui ricorso alla Corte Costituzionale sulla illegittimità della Calderoli così come fatto da altre quattro regioni (Emilia Romagna, Campania, Puglia, Toscana e Sardegna).

La Corte Costituzionale si pronuncia il 14 novembre e smonta gran parte della legge, soprattutto nella parte relativa ai Lep. Qui dice che questi non possono essere individuati da intese bilaterali, ma trattandosi di materie di grande rilevanza anche il Parlamento deve avere un ruolo. Così come altre materie non possono essere demandate alle Regioni perché di competenza europea. Insomma un brutto colpo per Calderoli che però non si perde d’animo e dice che in fondo la Consulta chiede di modificare sette punti della legge che quindi non è incostituzionale in sè. Una dichiarazione che fa innervosire anche gli alleati con il solito Roberto Occhiuto che invita il Ministro a maggior prudenza.

Sì, anche perché cinque Regioni (Emilia Romagna, Campania, Puglia, Toscana e Sardegna) chiedono anche loro di indire un referendum abrogativo della legge. Sui referendum è competente la Corte di Cassazione. L'Ufficio centrale della Suprema Corte, in un’ordinanza di circa 30 pagine, ha in pratica ritenuto legittima la richiesta di abrogazione. Ha respinto invece la richiesta delle Regioni perché superata dalla sentenza della Corte Costituzionale. Ma lo svolgimento del referendum ancora non è certo. Serve un altro passaggio della Corte Costituzionale che deve giudicare se il referendum è ammissibile sotto il profilo costituzionale ovvero se la Calderoli non rientra fra le materie di bilancio che la nostra carta esclude fra quelle che possono essere abrogate via referendum. La Corte su questo punto dovrebbe riunirsi i primi di gennaio.

In caso di referendum, dunque, sarà una bella lotta politica. Le opposizioni annunciano battaglia, ma lo stesso fa, ad esempio, il Governatore del Veneto, Luca Zaia, «Noi andiamo avanti. Siamo capofila assieme alla regione Lombardia, la Regione Liguria, la Regione Piemonte anche su questo fronte. Il problema adesso è vostro ed è quello di trovare i voti». Sì, perché il punto è raggiungere il quorum dei votanti necessario per dichiarare valido il referendum. Cosa non semplicissima in tempi di astensionismo spinto.

La riprova è che negli ultimi 25 anni il quorum nei referendum abrogativi è stato raggiunto solo una volta, nel 2011, sulla gestione pubblica dell'acqua, con un'affluenza del 54,8% degli aventi diritto. Ma se il clima è quello che si è respirato durante la raccolta firme non dovrebbero esserci problemi.