È iniziato in tarantella, è finito con il lievito. L’annus horribilis per la Calabria è iniziato con una festa, una maglietta stampata a favore di hashtag, la normalità di un ballo post-elettorale. Tutto normale: vinti a rilasciare dichiarazioni standard tipo allenatori suonati nel dopo partita (la palla è rotonda; fosse stato mezzo metro in qua; l’arbitro, quel dannato arbitro), i vincitori pronti a scaldare i posti di comando e a tirare fuori le liste da spuntare (e le persone da assumere). Ordinaria amministrazione.
E invece non è andato tutto come da copione.

Scriveva Umberto Saba: «Muta il destino lentamente, a un’ora precipita». Non c’è stato neanche il tempo di tagliare nastri e aprire tavoli di concertazione per parlare di volani di sviluppo, che ci è piombato addosso il Covid. Timidamente prima, pezzo di spalla sulle pagine Esteri poi, infine unico argomento e incubo collettivo.

La prima donna presidente della Calabria

Siamo al 27 gennaio scorso, Jole Santelli è la prima donna eletta governatore della Regione. La sua candidatura, benedetta dal sir del Grande Inverno di Arcore, vola dritta alla meta. Contro di lei all’altro angolo del ring Pippo Callipo, che non ha l’aria molto convinta e non vede l’ora di squagliarsela (lo farà). Tutti nel centrosinistra fanno finta che va bene, che lui è uno di loro, che Callipo è l’uomo che mancava al Pd che manca al Pd stesso che al mercato mio padre comprò.

Dream team

In un vortice di contraddizioni e poca voglia si passa alla fase 1. Inizia l’era Santelli. Ma le cose girano male fin da subito.
Lo storytelling che le vortica intorno riporta con ossessione una sola parola: il sogno. La governatrice deve diventare un brand e ai piani alti si punta quasi tutto sull’immagine della Calabria. Lei nomina subito due assessori di grande richiamo mediatico: Sandra Savaglio, astrofisica, e Ultimo, il capitano, quello che mise fine alla latitanza di Riina. Nomine accompagnate da video promozionali postati sulla pagina fb della governatrice che, man mano, acquista più follower di una influencer.

Arriva il virus, si chiude

Ma il virus rallenta tutti i piani e il 22 marzo 2020 la Calabria chiude.
Tutte le province calabresi si macchiano di casi Covid. A comandare le operazioni di salvataggio sono le Asp, quasi tutte simili a quelle sagome che si crivellano di colpi al poligono: buchi buchi. Un po’ come chiamare via radio il Titanic per chiedergli un rimorchio in prestito.

Per fortuna non ci sono iceberg in quell’orizzonte di primavera. Ci grazia uno strano caso. Da questa terra si parte e basta (e spesso non si torna), e se fino a quel momento era una disgrazia, ecco che diventa un vantaggio. Fanalino di coda, per la prima volta, non suona così male.

Ma il pensiero comune è: se accadesse qui come a Bergamo, con tutti quegli ospedali che hanno fatto chiudere, sarebbe la fine. Altro che cometa, altro che Maya, altro che.

Calabria uber alles

Intanto è scontro: Calabria contro governo. La Regione vuole dare fiducia ai cittadini, Conte frena. Bruciando tutti qui si riapre: via a spostamenti tra Comuni, attività sportive individuali, spostamenti per raggiungere le proprie imbarcazioni, ripresa della attività di ristorazione da asporto.

Spunta per la prima volta in questa storia il nome del Tar (lo ritroveremo più avanti) che boccia troppo tardi l’ordinanza Santelli quando il Paese ha già il permesso di mettere il naso fuori di casa. Qui si spinge a tavoletta e si rispolvera il progetto del rilancio turistico. In Calabria si ingrassa, dicono, e partono gli inviti a cena per turisti mentre negli altri Paesi non si sa più cosa chiudere per arginare la mattanza.

Il corto della discordia

Musica da intervallo. Via con l'arpa. Intanto il regista romano Gabriele Muccino visita gli aranceti dell’Alto Jonio. A giugno gli consegniamo nelle mani due milioni di euro per realizzare un spot. Ce ne sono altri dieci pronti a finire nelle casse di altri due nomi di autori di calibro nazionale, ma non ci sarà il tempo.

Il risultato che presenta Muccino è un corto sdrucito e male confezionato, pubblicizzato solo dalle polemiche che l’hanno reso l’argomento del giorno. Finite quelle, dello spot non è rimasto nulla, neppure le arance (finte). Anche perché neanche un governo di pura avanguardia pubblicizzerebbe il turismo adesso (ma meglio non escludere nulla). Oggi non si sa neanche se a Pasqua voteremo o continueremo con le lievitazioni casalinghe litigando con Alexa.

Non ce n'è coviddi: tutti in pista

Torniamo all’estate scorsa. A luglio riaprono le discoteche con tanto di servizio di trasporto per raggiungere i luoghi del divertimento, così, tanto per gradire. Con 1.231casi si urla «Abbiamo salvato la Calabria». Mica tanto. A metà agosto vengono richiusi di tutta fretta gli strob negli scatoloni ma la frittata è già bella che fatta.

Calabria sotto shock

A settembre torna tutto come prima, anche peggio. A ottobre la batosta. Muore all’improvviso Jole Santelli. Uno shock. La Calabria beccheggia nel mare della tempesta perfetta, si trova con numeri in crescita come cavalloni nell’Atlantico, ospedali che rischiano il collasso, personale medico a spasso che è una vita che aspetta di essere impiegato e all’improvviso sente frasi mitologiche tipo: sblocco del turn over; persone comuni senza più soldi sul conto per campare si attaccano alle magre ciambelle di Ristori e Casse integrazioni mentre le scuole diventano focolai e inizia la lotta fratricida tra genitori e Tar.

Arriva Spirlì, inizia lo show

Al posto della Santelli prende il timone il suo vice, Nino Spirlì, scrittore, leghista di ferro, amante dei salotti televisivi e delle dirette facebook. Nessuno avrebbe mai creduto che potesse accadere, neanche lui, neanche Trump avrebbe osato pensarlo.

Una volta al comando ingaggia da subito una lotta contro il nemico numero uno, il governo. La scusa dell’affondo, il casus belli che scatena le ire del ff., è la dichiarazione della Calabria come Zona rossa. Un affronto. Spirlì protesta, chiama a raccolta tutto il suo know-how televisivo, imbraccia il telefonino e si fa largo nelle trasmissioni nazionali promettendo battaglia. È convinto che si tratti di un’ingiustizia, così convinto che chiude le scuole. Per il contagio.

Mentre i foglietti arcobaleno con le scritte a tempera #andratuttobene sono ormai al macero, Spirlì a novembre dichiara: «Abbiamola  capacità politica per arginare la mafia», il giorno dopo viene arrestato Tallini.

Sanità, barzelletta che non fa ridere

Ma lo show non è certo questo, il pezzo forte arriva ora. Il commissario dell'Asp di Cosenza, Giuseppe Zuccatelli, viene travolto dal no-mask-gate, roba che Nixon al suo posto avrebbe preso bagagli e bagattelle si sarebbe trasferito sull’Isola di Pasqua cambiando cognome. Lui invece tiene finché può e quando anche Speranza gli batte una mano sulla spalla e gli fa il gesto di andare, si dimette.

Intanto a Catanzaro basta la domanda semplice di un giornalista a distruggere un uomo e il suo gemello (immaginario). Il commissario ad acta Cotticelli (o il suo doppelganger, ancora non si sa), famoso per la signora Maria e i suoi occhiali alla Martin Brody de Lo squalo, va in tv e regala una puntata cardine di quella che è ormai diventata la serie preferita dagli italiani: Calabria, alla ricerca del piano (Covid) perduto.

Il finale di stagione è meglio del finale di Lost: Cotticelli ammette di avere problemi di dislocazione spazio-temporale e si dimette. Parte subito lo spin-off: Chi vuol essere commissario. Si fa il nome di Gino Strada. Apriti cielo. Il solito Spirlì questa no, proprio non la può sopportare. Stretto nello scialle inveisce che Strada qui non ha niente da fare, non abbiamo bisogno di missionari africani. Missionari africani. L’ha detto sul serio. Mentre echeggiano nell’aria ancora le ultime sillabe pronunciate in diretta nazionale, è chiaro che ormai siamo nel panico ma più che panico siamo in un romanzo più distopico di quello delle ancelle della Atwood.

I commissari tengono famiglia

Per fare il punto: siamo la prima regione al mondo commissariata senza commissario, governata senza un governo, presieduta senza un presidente. Qualcuno chiami JJ Abrams per capire se è meglio finirla con: è stato tutto un sogno.

Viene indicato l’ex rettore della Sapienza, Gaudio, come successore di Cotticelli. Sembra fatta ma alla signora Gaudio questa cosa di lasciare Roma per tornare in Calabria proprio non va giù e Gaudio, a tempo di record, rifiuta l’incarico, con una giustificazione che resterà nella storia del femminismo: sua moglie non vuole trasferirsi a Catanzaro. «Non voglio faide familiari» ammette. E quanti mariti hanno scrollato il capo, dandogli ragione. Se c’è una cosa peggiore della pandemia è una faida familiare e subito al terzo posto c’è il trasloco.

Quest’incarico da commissario diventa la palla avvelenata, chi se la trova nelle mani se ne sbarazza prima che può, finché l’unico trovarsela sotto l’ascella a musica finita è il prefetto Guido Longo: poche parole, faccia da sceriffo di contea, interviste telegrafiche. In pochissimo tempo anche lui capisce che la cosa è ancora peggio di come se l’aspettava.

Vaccini, avanti piano

Ed ecco i vaccini. La panacea di tutti i mali. Uno spiraglio di luce in fondo a un tunnel più sgarrupato della Salerno-Reggio (dove basta una pioggia e cadono impalcature). Proprio per venire incontro a una popolazione stremata, impoverita e molto arrabbiata la Calabria pensa bene di galleggiare in fondo alla classifica delle somministrazioni. Spirlì la chiama una “benedizione” ma nelle case dei calabresi intanto crollano i calendari.

Nuovo giro di giostra

Siamo alla fine dell’anno più nero della storia calabrese, i numeri del contagio vanno su e giù e le elezioni (già slittate) fanno capolino in modo poco convinto. Spirlì intanto ci ha preso gusto e su facebook ringrazia Salvini con un post che la dice lunga: restiamo a schiena dritta e pancia ingiù. Praticamente a terra. Come al solito.