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Era stato Marco Demarco nei giorni scorsi a riaprire il capitolo relativo al provvedimento di inibizione del Governatore della Calabria con un articolo apparso su Il Corriere della Sera dal titolo «Anticorruzione e giustizia, un conflitto da evitare».
Raffaele Cantone, presidente dell’Anticorruzione (Anac) ne ha approfittato chiarire meglio la vicenda.
Cantone, ci tiene a precisare, che lui col provvedimento di inibizione dei poteri del Governatore non c’entra nulla. Il provvedimento è’ stato infatti emesso dal responsabile della corruzione della Regione Calabria che non è dipendente dell’anticorruzione ma della Regione stessa. E inoltre: ‘La lettura dell’ordinanza del Tar dimostra come essa ha confermato in pieno la validità del nostro operato - e cioè l’equiparazione tra Direttore generale e commissario straordinario - ma ha trovato una contraddizione interna al provvedimento del Rpc della Regione Calabria che doveva dare attuazione a essa’
Di seguito la lettera di Raffaele Cantone inviata al Corriere della Sera:
Gentile direttore, Il corsivo di Marco Demarco - giornalista bravissimo che ho imparato ad apprezzare come direttore del Corriere del Mezzogiorno e con il quale si è creato un rapporto di amicizia e stima che dura da anni - apparso sul Corriere della Sera di ieri dal titolo «anticorruzione e giustizia, un conflitto da evitare» mi sembra richiedere qualche garbata e, spero utile, precisazione.
In primo luogo, la sospensione decisa dal Tar Lazio il 4 novembre scorso ha riguardato il provvedimento del Responsabile della corruzione della Regione Calabria (Rpc) e non il parere dell’Autorità sull’esistenza di una causa di inconvertibilità dell’incarico a Gioffré. Al contrario, la lettura dell’ordinanza del Tar dimostra come essa ha confermato in pieno la validità del nostro operato - e cioè l’equiparazione tra Direttore generale e commissario straordinario - ma ha trovato una contraddizione interna al provvedimento del Rpc della Regione Calabria (che è bene ricordarlo non è un dipendente dall’Autorità ma un dirigente della medesima Regione!) che doveva dare attuazione a essa. Quindi, se dobbiamo proprio registrare un risultato «calcistico» di 1 a 0, non è certo nei confronti dell’Autorità anticorruzione, che non ha proprio partecipato alla partita, svolgendo, al massimo, il suo ruolo di arbitro «super partes».
Quanto alla questione più generale, da tempo l’Autorità ha segnalato, in modo formale e in ben due diverse occasioni, a Parlamento e governo che il meccanismo sanzionatorio congegnato dalla legge del 2012 non va bene, perché affidato a un soggetto, il Rpc (dirigente interno dell’ente, nominato dall’organo politico) che non è in posizione di sufficiente indipendenza rispetto al soggetto da sanzionare. Abbiamo anche richiesto di affidare all’Anac, autorità indipendente e sottratta a pressioni e condizionamenti, il potere di accertare i fatti e di irrogare le sanzioni. Ne deriverebbe una notevole semplificazione e una maggiore efficacia di una disciplina innovativa e da salvare, perché mira a impedire proprio quegli impropri «salti di ruolo» di cui parla Demarco.
Nel salutarla molto cordialmente mi consenta, infine, due precisazioni di carattere più generale che - sono convinto - l’amico Marco Demarco, melius re perpensa, condividerà certamente; il ruolo di prevenzione della corruzione affidato ad un’Autorità come quella che presiedo non è affatto una «forzatura verticistica», ma una garanzia imparziale, offerta a tutti i cittadini; sanzionare chi conferisce incarichi in modo illegittimo, non è opera di «governo dall’alto», ma di indipendente applicazione della legge.