La presidente del Consiglio sembra essersi isolata sul piano politico nell'ambito della sua stessa maggioranza. La proposta del premierato scardina gli equilibri fondanti della Costituzione repubblicana nata con la caduta del fascismo. E le congiunture negative remano contro
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Giorgia Meloni ha appena iniziato la partita politica più complessa e rischiosa della sua vita. I vicini predecessori che erano riusciti, in poco tempo, a capitalizzare consensi elettorali superiori al 30% sono stati Mattero Renzi, con il Pd, e Matteo Salvini con la Lega: entrambi hanno tentato uno “sfondamento” politico-istituzionale registrando rapide battute d'arresto.
Si ricorderà il Renzi del referendum costituzionale datato 4 dicembre 2016: con un'affluenza importante, pari a oltre il 65%, la sua proposta di revisione della seconda parte della Carta fu sonoramente bocciata. La riforma cosiddetta Renzi-Boschi era stata approvata da Camera e Senato con una maggioranza inferiore ai due terzi dei parlamentari e quindi, come prescrive l'articolo 138 della Costituzione, si passò al referendum popolare facoltativo. L'ex sindaco di Firenze e segretario del Pd fu conseguente al suo ragionamento politico e si dimise.
L'approccio di Matteo Salvini è stato più politico e meno istituzionale. Nell'agosto 2019, manifestando da vice presidente del Consiglio la volontà di candidarsi a premier, il leader della Lega disse in tv: «Chiedo agli Italiani, se ne hanno la voglia, di darmi pieni poteri per fare quello che abbiamo promesso di fare, fino in fondo, senza rallentamenti e senza palle al piede». Salvini, forte del grande risultato ottenuto alle elezioni europee del 26 maggio 2019 (34,26% e primo partito in Italia), nell'agosto dello stesso anno aprì la crisi, fece cadere il governo Lega-5Stelle, ma al contrario di quanto egli prevedesse non si andò alle urne e nacque un governo Conte Due retto da Pd, 5Stelle, LeU e Italia Viva. Alle elezioni politiche del settembre 2022, esauritosi il governo Draghi che era succeduto al Conte Due, Fratelli d'Italia conquistò il 26% delle preferenze, lasciando la Lega all'8,79% e Forza Italia all'8,11. Nacque dal 22 ottobre il governo Meloni di centrodestra, il primo presieduto da una donna nella storia d'Italia: il suo partito secondo i sondaggi oggi viaggerebbe attorno al 30%.
La storia sembra ripetersi, con qualche possibile riferimento anche all'esperienza di Silvio Berlusconi che comunque ebbe altre connotazioni. Giorgia Meloni tira dritto, caratterizza la propria azione politica con impronta dirigista, risponde duro quando si sente attaccata, dichiara di non temere rapidi ritorni alle urne. La mossa più importante la leader di Fdi l'ha indovinata: in un contesto geopolitico europeo e mediterraneo fragilissimo, forse il più preoccupante dalla Seconda guerra mondiale, il suo schieramento a fianco degli Usa di Biden è stato netto, fermo, ribadito in più occasioni. Solo il recentissimo incidente telefonico, chiamiamolo così, ha acceso la luce su qualche dubbio circa la prosecuzione della guerra in Ucraina, ma la preoccupazione manifestata rientra in una logica più complessiva e va letta all'indomani della drammatica crisi israelo-palestinese. Il passo più delicato Giorgia Meloni lo ha compiuto, invece, con la sua proposta di riforma della Costituzione, ancora più incisiva e carica di significati di quella di Renzi. Questa volta si chiede al Parlamento, e forse anche al popolo, di varare il premierato, sconvolgendo di fatto l'assetto istituzionale sancito dalla Carta nata dopo la caduta del fascismo e in vigore dal gennaio 1948.
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La storia non è un orpello, non è materia per soli accademici e studiosi. La storia spiega anche la politica e la politica deve tenerne conto. La Costituzione repubblicana è figlia della lotta epocale al nazi-fascismo e di un compromesso altissimo, prima di tutto culturale e ideale, fra cattolici, comunisti, socialisti, liberali. Primo obiettivo: impedire, come invece fu possibile sotto la monarchia sabauda, il ritorno del fascismo o dell'autoritarismo, in qualsivoglia forma, e quindi erigere una diga contro la possibile concentrazione di potere in un'unica persona o partito. La storia dell'ancora monarchica Gran Bretagna, o della Francia figlia della Rivoluzione, o degli Stati Uniti d'America è tutt'altra cosa, non paragonabile perché profondamente distante. Non è questa la sede per una disquisizione sui caratteri essenziali e fondanti della Carta italiana, ma un passaggio ha rilevanza strategica: l'equilibrio saggio e attento dei poteri, compresi quelli del Capo dello Stato, è stato pensato, voluto, costruito, appositamente specificato e articolato.
A fronte di questa struttura della nostra Repubblica parlamentare, la proposta del premierato genera forti perplessità e motivate resistenze. Ce la farà Giorgia Meloni a portare avanti il proprio progetto di riforma senza trasformarlo in una tomba politica? Le serviva caratterizzare questa sua prima esperienza da premier con una missione tanto dirompente? Non è cosciente Giorgia Meloni che essendo leader di un partito di destra il tema del premierato si colora di tinte che generano preoccupazione? Non sarebbe stato meglio dedicare più tempo alla trasformazione di Fdi in un soggetto conservatore di stampo anglosassone?
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Ma non è tutto. L'ultima vicenda dell'accordo con l'Albania sugli immigrati ha fatto comprendere come all'interno della maggioranza di centrodestra esistano ampie crepe e forti malumori. Le tensioni sembrano crescere di giorno in giorno anche perché la congiuntura è oggettivamente negativa: crisi economica perdurante, debito pubblico nazionale in crescita, pochi margini di manovra nella finanziaria per generare sviluppo, guerra in Ucraina, guerra a Gaza, elezioni europee in primavera con un sistema proporzionale che non agevola i processi unitari bensì le diversificazioni, campagna elettorale aperta negli Usa. Ritorniamo all'incipit: Giorgia Meloni ha appena iniziato la partita politica più complessa e rischiosa della sua vita. Ce la farà o la sgambetteranno? Le esperienze precedenti dovrebbero consigliarle atteggiamenti politici più cauti.