VIDEO | Il gruppo dirigente del Pd si è ritrovato a Lamezia per fare il punto sull'esito deludente del voto del 25 settembre: «Quello di cui abbiamo bisogno è una rifondazione. Il nostro non è un patrimonio che può essere disperso» (ASCOLTA L'AUDIO)
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Non usa giri di parole il segretario regionale del Pd, Nicola Irto, nel commentare l'esito di quest'ultima tornata elettorale. Il neo senatore, insieme ai candidati e a tutti i quadri dirigenti del partito, riunitisi oggi a Lamezia, dice che il Pd ha confermato, nonostante il taglio dei parlamentari, la stessa deputazione del 2018, sottolineando che in Calabria i dati sono tra i migliori del Mezzogiorno del Paese.
Dopo poco però ammette che tutto questo non è sufficiente, anzi, parla espressamente di una «pesante sconfitta». Certo Irto indica alcune attenuanti. In primis la legge elettorale che definisce più volte «folle», in secondo luogo le alleanze mancate del partito «sul territorio - ha detto - si sono visti solo i nostri candidati». Giustificazioni che però non reggono, non solo perché le regole, ovvero i meccanismi elettorali, sono i medesimi per tutti, ma anche perché fu proprio il governo Renzi ad approvare questa legge.
Enza Bruno Bossio ha spiegato che non è stato possibile modificarla perché mancavano i numeri, con Salvini che si è messo di traverso. Resta quindi in capo al Pd il peccato originale. Archiviata anche la nota sull'astensionismo che ha investito un calabrese su due, non resta che interrogarsi sulle ragioni del flop. La diagnosi è ben chiara a tutti: il partito non è riuscito a rappresentare quelle istanze per cui è nato, ovvero disuguaglianze sociali, diritti civili, prospettive di futuro per i giovani. Se il male è chiaro, quella che sfugge è la cura: come farà il Pd a riconnettersi con il suo storico elettorato? Come farà a farsi percepire dalla gente come partito di sinistra e non di governo a tutti i costi?
Il problema non è contingente visto che sin dalla sua nascita il Pd non ha mai vinto un'elezione. Solo con Bersani riuscì ad essere il partito più votato, ma senza avere i numeri per governare da solo. Guai però a parlare ad Irto di un ipotetico scioglimento dei Dem, idea che in realtà sta circolando nelle ultime ore tra diversi militanti, esasperati dalla vorticosa rotazione di segretari.
«Quello di cui abbiamo bisogno - risponde Irto - è un rilancio e una rifondazione. Il nostro non è un patrimonio che può essere disperso, stiamo parlando del secondo partito italiano con una dote di quasi 9 milioni di voti, una storia ben definita. Il punto allora è parlare di sud, che è contato poco in questi anni nelle dinamiche nazionali di un grande partito di massa».
In effetti è proprio al sud - come dicono nelle loro analisi i dirigenti del Pd - che il partito è crollato sia nelle regioni dove governava, come Campania e Puglia, sia in quelle dov'è all'opposizione, come la Calabria. La soluzione di Irto, allora, è «ripartire dai territori». Il segretario, infatti, annuncia che a breve ci sarà un'analisi del voto che si terrà in ogni federazione, in un confronto schietto e rigoroso sui motivi della sconfitta.
«Con i commissari - dice Irto – c’è stata la liquefazione del pensiero. Ad ogni sconfitta non è mai seguita una discussione. Noi avvieremo questo confronto serrato non per un'analisi fine a se stessa ma per capire gli errori e da dove ripartire».
Per il resto il segretario ribadisce piena fiducia nel suo gruppo dirigente e rivendica la bontà di tutti i candidati. In conclusione ritorna sulla legge elettorale che definisce «mediatica, senza i candidati, perché tutto è già stabilito dall'inizio». Non rimane dunque che attendere il post discussione e vedere se il Pd riuscirà a riconnettersi con le donne, i ceti sociali più deboli e i giovani... Ovviamente prima che questi ultimi entrino nell'età pensionabile.