Così l'ex presidente della Regione Calabria Mario Oliverio che si schiera con Enzo Ciconte: «Il suo nome esibito in modo scorretto. Fermiamo tutto»
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«Ho letto con amarezza le dure dichiarazioni di Enzo Ciconte rilasciate nel corso di una intervista alla stampa. C'è una cosa sulla quale non è possibile far finta di nulla. Ciconte dice che il centrosinistra (nazionale e regionale) ha scelto di perdere ancora una volta le elezioni. Inciuciando alla grande, come al solito e preliminarmente, con il centrodestra. Bene, anzi male. Io non mi rassegno a questa prospettiva per altro più che accreditata da tanti anche nel Pd».
Così l'ex presidente della Regione Calabria Mario Oliverio in risposta ad alcune domande dei giornalisti. «Ciconte - prosegue - sa quel che dice e perché dirlo, conoscendolo. Se qualcuno ha agitato ed esibito solo strumentalmente il suo nome ha commesso una scorrettezza sul piano etico prima ancora che una perfida sciocchezza. E tuttavia sento di non dover far cadere nel vuoto ma anzi rilanciare il suo grido di allarme. Fermiamo tutto allora. Se questo è il drammatico scenario verso cui si sta spingendo il centrosinistra calabrese, che qualcuno alzi il freno a mano! Perché assistere inermi alla folle corsa senza freni verso il burrone?».
«Che qualcuno riavvolga il nastro e si faccia cogliere da un sorprendente gesto di responsabilità verso questa terra di Calabria. Lo faccia il Nazareno. Lo faccia Conte, perché no! L'unica via d'uscita è lavorare per ricomporre l'intero campo delle forze riformiste, progressiste, del centrosinistra coinvolgendo tutti e disegnando alla svelta un percorso unitario senza preclusioni ed esclusioni preventive. Non è un problema solo di nomi».
«Così come è stata confezionata - conclude Oliverio - la candidatura alla presidenza della Regione è penalizzante anche per la stessa concorrente. Il dna di questa parte di campo sono la partecipazione, il dialogo e l'inclusività. Pratica tradita e non rispettata anche stavolta sulla falsa riga del disastro annunciato con Pippo Callipo imposto da Roma senza condizioni. Perseverare, a questo punto, oltreché diabolico sarebbe pericoloso. Ben oltre ogni drammatica aspettativa».