«Non posso che sentirmi mortificato e deluso da un Governo che, di fatto, sembra aver dimenticato e abbandonato la Calabria. Una Calabria considerata sempre di più Cenerentola di Italia». Lo ha detto il senatore Ernesto Magorno, intervenendo nell'aula del Senato.

Magorno ha poi argomentato il suo no al Decreto Calabria: «Oggi più di ieri, noi sindaci siamo alle prese con la difficoltà di far quadrare il difficile equilibrio tra domanda dei cittadini e offerta pubblica. Ci misuriamo con piccoli e grandi problemi della nostra gente, ascoltiamo la loro disperazione, cerchiamo di rielaborarla in soluzioni e, soprattutto, non ci voltiamo mai dall'altra parte. Siamo noi a raccogliere il grido di aiuto di uomini, donne, anziani, giovani e purtroppo bambini costretti a lasciare la Calabria e ad affrontare l’esodo sanitario verso gli ospedali del nord, un calvario personale e familiare per farsi curare da malattie oncologiche o sottoporsi a visite specialistiche o a operazioni chirurgiche».

«Era questo –aggiunge - il senso e il motivo del mio emendamento al “Decreto Calabria” in cui proponevo di istituire, all'interno della struttura commissariale della sanità un organo formato dai sindaci, con poteri di controllo e di proposta. Ma, allo stato dei fatti, quell’Emendamento, non solo mio ma che ha la voce, il volto e l’anima dei sindaci della Calabria è stato stravolto totalmente e privato della parte in cui si prevedeva un diretto coinvolgimento dei sindaci calabresi nella filiera di comando della struttura commissariale alla sanità. Purtroppo, questa norma è stata inopinatamente stralciata e ciò dovrebbe preoccupare l'intera delegazione dei senatori calabresi, quantomeno di coloro che appartengono al centrosinistra e alla maggioranza di Governo».

«Il passato – dice Magorno - ci insegna che una classe politica, conservatrice e preoccupata di difendere lo “status quo” è capace solo di scrivere le pagine più brutte della nostra storia sia a livello nazionale che regionale. Il futuro ci sollecita a lanciare un segnale di grande maturità e coerenza, dando dimostrazione di avere nel cuore e nella mente solo ed esclusivamente il bene e la crescita della nostra Nazione e quindi anche della Calabria. Pertanto, proprio per tutelare fino in fondo i diritti dei calabresi, sono mio malgrado costretto a votare no al Decreto Calabria. Se votassi il testo del Decreto Calabria, così come è stato modificato nei lavori parlamentari alla Camera, tradirei me stesso, la mia gente, le mie radici, la mia storia, i miei ideali. Questo Decreto doveva rappresentare una svolta per la sanità in Calabria». 

«Questo Decreto – fa presente il senatore - doveva esaltare il ruolo dei sindaci, invece li umilia e contemporaneamente li manda in prima linea a mani nude. Con questo Decreto si vuole governare per sempre la Calabria attraverso la sanità. Di fatto si stabilisce un principio che anche la moderna civiltà giuridica avanzata aborre. Il “fine pena mai”. Il “fine commissariamento” per la Calabria Mai! Ed io, che sono cresciuto alla scuola di quella politica che parte dal basso, fatta con dignità, coerenza e trasparenza, in una piccola sezione di partito come in piazza, per il popolo e con il popolo, dico no».

Il senatore e sindaco di Diamante conclude: «È questo il modo di essere e fare politica, a cui ho sempre creduto, ispirandomi ad una donna tenace e coraggiosa, un grande esempio di passione e disinteressato impegno civile, culturale e sociale per la sua terra e in difesa dei diritti dei cittadini, in particolare delle fasce più deboli della popolazione. Quella donna, ci è riuscita, a differenza di oggi, in cui il diritto alla salute viene garantito con tagli e chiusure di strutture ospedaliere che paradossalmente peggiorano l’efficienza sanitaria e aumentano il deficit pubblico. Quella straordinaria donna, è una calabrese, è Marianna Presta, mia madre, interprete autentica dei veri valori e dei più alti ideali della tradizione socialista, che incarna nella propria storia, la politica autentica, quella che mette al centro la persona e l’amore per la polis. La politica, in cui mi riconosco, a cui sono fiero di  appartenere, con cui ho sempre operato, con cui sto svolgendo la mia attività di parlamentare e con cui amministro da sindaco. Ma se, come sembrerebbe, la politica sta diventando tutt’altra cosa, con l’amarezza di chi ha creduto e crede nel valore delle istituzioni, con la responsabilità civile e morale che appartiene alla mia cultura e coerenza di politico, di cittadino, di uomo libero e democratico, valuterò il mio ritiro dalla attività politica al termine della Legislatura Parlamentare e del mio mandato da sindaco».