Il plafond è di quasi un miliardo in meno rispetto alle risorse previste per la misura cancellata. Inoltre la platea di beneficiarti è ristretta: under 35 al primo contratto a tempo indeterminato e donne disoccupate
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Inizierà domani in commissione Bilancio al Senato l’iter per la conversione in legge del Decreto Coesione. Stiamo parlando del Dl 60/2024 che già sta producendo i suoi effetti essendo stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale lo scorso 7 maggio. Il decreto prevede uno sgravio del 100% dei contributi a carico dei datori di lavoro, per 24 mesi, ai privati che assumeranno, dal 1° settembre 2024 al 31 dicembre 2025, giovani, donne in determinate condizioni e lavoratori nelle regioni del Sud e delle Isole.
Nelle intenzioni del Governo questi bonus dovrebbero compensare lo stop alla decontribuzione Sud che il Governo ha deciso di cancellare a partire da questo luglio. Una scelta che come abbiamo già scritto ha lasciato spiazzati molti imprenditori che avevano programmato la loro attività calcolando appunto la decontribuzione.
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Ora hanno come possibilità questi bonus, ma diciamo subito che la differenza fra le due misure è evidente. Innanzitutto per l’ammontare delle risorse. Se la decontribuzione valeva qualcosa come 3,3 miliardi di euro l’anno, i bonus Sud, donne e giovani valgono nel complesso “soltanto” 2,5. Ma non solo; questi bonus sono rivolti a target ben determinati. Giusto per fare un esempio, il lavoratore under 35 da assumere non deve aver mai avuto un rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Le donne devono essere disoccupate da almeno 24 mesi, oppure essere senza lavoro da sei mesi e risiedere nel Sud e nelle Isole o in zone ammesse a fruire dei fondi strutturali Ue. Ancora chi assume usufruendo degli altri vantaggi legati alla Zes deve avere almeno dieci dipendenti. La vecchia decontribuzione, invece, riguardava tutti, senza nessun criterio particolare, e non solo le nuove assunzioni.
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Abbiamo già avuto modo di scrivere come questi incentivi non piacciono agli imprenditori e neanche all’opposizione. Il senatore del Pd, Nicola Irto, ha recentemente presentato una interrogazione al ministro Fitto per sapere se “abbiano intenzione di rivalutare il ripristino, anche, eventualmente, in misura differente, dell’intesa ‘Decontribuzione Sud’ quale incentivo alle assunzioni nelle regioni meridionali”.
Non solo ma c’è anche chi ironizza su queste misure, ricordando il primo discorso alla Camera di Giorgia Meloni. Era il 25 ottobre del 2022 e la premier disse di voler «archiviare finalmente la logica dei bonus per alcuni utili spesso solo alle campagne elettorali in favore di investimenti di medio termine a favore dell’intera comunità nazionale». Qui mancano 25 giorni alle elezioni Europee (dove fra l’altro è candidata anche la premier) e quelli che ha emanato il Governo sembrano proprio dei bonus rivolti a determinate categorie non investimenti strutturali.
Il punto, allora, è capire quali siano le politiche industriali per il Mezzogiorno del Governo, partendo dal problema di non poco conto del patto di stabilità che ci impone l’Europa. Le nuove regole di bilancio per tenere sotto controllo i conti richiedono, secondo alcune stime, almeno dai dieci ai tredici miliardi. Difficile in questa situazione trovare anche i soldi per interventi strutturali come la riduzione del cuneo fiscale o dell’Irpef. Un problema in più per il Sud che già arranca per la riforma della Zes che ha allargato il perimetro delle agevolazioni, ridotto le risorse a disposizione, messo un tetto agli investimenti di 200mila euro, ma soprattutto concentrato tutto a Roma dove la cabina di regia di Palazzo Chigi stenta ancora a decollare.