Il ministro Schillaci aveva chiesto almeno 4 miliardi per il Ssn. Ma l'ammontare delle risorse non è direttamente proporzionale alla qualità dell'offerta sanitaria. Il caso calabrese: Lea bassi e stanziamenti non utilizzati
Tutti gli articoli di Politica
PHOTO
Un brutto colpo per il nostro servizio sanitario arriva dalla Nadef, la Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza approvato, in cui sono segnati i paletti della prossima manovra di bilancio, la prima di questo Governo.
Il ministro della Sanità aveva chiesto di inserire in manovra almeno quattro miliardi di euro per contrastare l’inflazione che ha di molto eroso le risorse a disposizione del sistema. I numeri della Nadef, invece, dicono che il Governo stanzierà poco più di due miliardi. La previsione dei prossimi anni parla poi di investimenti decrescenti nel settore. Una circostanza che ha acceso un vivace dibattito pubblico. Le opposizioni sono pronte a dare battaglia sulla questione su pochi essenziali punti unitari: portare la spesa per la sanità al 7 per cento del Pil, un piano di assunzioni di medici e personale sanitario, una strategia per abbattere le liste di attesa e, anche, dire no all’autonomia differenziata che in questo settore porterebbe a un ulteriore divario fra regioni.
Ma non è solo l’opposizione parlamentare a criticare questa scelta del Governo. Anche diversi presidenti di Regione sono perplessi, con sfumature diverse che dipendono dalla loro appartenenza politica. Quello dell’Emilia Romagna, Stefano Bonaccini, dice che «quattro miliardi di euro per me sono persino pochi e quest’anno dopo tanti anni torna al 6,5% la spesa sanitaria in rapporto al Pil. Erano anni e anni che non succedeva. E nelle previsioni del governo, se non le correggeranno, si andrà al 6,2% tra due anni. Siamo già sedicesimi per poca spesa nella Ue». Il guaio è che andremo a peggiorare. Michele Emiliano (Puglia), invece, sostiene che «se non c’è un aumento del fondo sanitario nazionale nella prossima legge di bilancio di almeno 4 miliardi, la sanità italiana è tecnicamente in default anche per le regioni più ricche e importanti», figuriamoci per quelle che già arrancano.
Ma perplessità manifestano anche presidenti in quota centrodestra come il leghista Massimiliano Fedriga (Friuli Venezia Giulia, presidente della Conferenza delle Regioni). «È il momento di fare scelte coraggiose, le risorse sono limitate, né Regioni e Comuni possono fare una lista della spesa infinita - dice Fedriga -. Anche noi dobbiamo fare proposte serie, in particolare per la sanità, io penso che non saranno sufficienti le risorse per risolvere i problemi che oggi ha».
Alla riduzione degli investimenti statali si deve poi aggiungere la rimodulazione del Pnrr che ha tagliato di oltre un quarto sia le case che gli ospedali di comunità.
Il combinato disposto di questi due fattori sembra una sorta di pietra tombale alle speranze di rilancio della sanità calabrese. Ma c’è anche chi dice che quello delle risorse è in realtà un falso problema visto da queste latitudini. Questo per due motivi. Il primo è che l’ammontare della spesa non corrisponde necessariamente alla qualità dei servizi erogati. Lo certifica una recente delibera della Corte dei Conti - sezione Autonomie che ha studiato proprio questo tipo di rapporto. Più spesa non significa più servizi. Nella relazione, ad esempio, si cita Molise, Valle d’Aosta, Abruzzo e Liguria dove la spesa per gli ospedali è oltre la media nazionale, ma i risultati sono modesti. In Emilia-Romagna e Toscana accade il contrario. Trento, Bolzano, Basilicata e Sardegna spendono più di 1.300 euro a testa per medici di famiglia e assistenza territoriale, ma il servizio è migliore in Emilia-Romagna, Veneto, Toscana e Lombardia dove i costi pro capite sono inferiori. Per quanto riguarda la Calabria, la nostra regione è ancora fra le peggiori in termini di performance: sette Regioni e Province autonome su 21 hanno i Lea (livelli essenziali di assistenza) insufficienti in uno o più settori. La Calabria ha tutti e tre gli ambiti indagati (ospedale, territorio e prevenzione) largamente sotto la sufficienza. Il punteggio peggiore, fra l’altro, si registra proprio sulla sanità territoriale dove i Lea sono a 48,51 (60 è il coefficiente che regala la sufficienza). Non sappiamo invece i costi perché i magistrati contabili scrivono che non sono stati trasmessi con buona pace del centrodestra che continua a dire che ormai in Calabria si è superata la fase della “contabilità orale”.
Ma c’è di più: il secondo motivo per cui l’ammontare delle risorse è relativo è che la Calabria, come avviene in altri campi, non riesce a spendere le risorse che ha a disposizione. Basti pensare ai fondi Covid che sono tornati indietro, ai fondi stanziati con i due decreti Calabria per il piano straordinario di assunzioni mai partito, ai fondi destinati all’edilizia sanitaria, a partire dal nuovo ospedale di Cosenza, che non si riescono a mettere a terra. Insomma è proprio il caso di dire che i soldi, nella sanità come nella vita, da soli non bastano.